Dopo l’era dell’energia fossile (petrolio), nel XXI sec. arriva quella dell’energia rinnovabile (sole, vento) e della scoperta dell’acqua nelle viscere del deserto, iniziata con il progetto GMMR (Great Man-made River) in Libia. Con la tecnologia che avanza veloce, la trasformazione del Sahara in un giardino, per nutrire la popolazione africana avviata in questo secolo verso 2,5 mld, assume consistenza. Qualche idea è già stata anticipata.            

Sabbia…sand…sable…arena, nessuna lingua  raggiunge il significato e realizza il senso di questa parola come l’espressione araba “raml”, la sola che richiami alla mente quella vasta calda estensione geografica del continente africano culla dell’umanità, delimitata da approssimate coordinate per via della variabilità, formata da evoluzioni geologiche che ne hanno condizionato la diversità territoriale e climatica, abitata da popolazioni in maggioranza autoctone distinte  per origine, etnia, storia, lingua, società, religione, contesto geopolitico e sviluppo economico: il Sahara (dall’arabo deserto). Qui solo la sabbia è “raml”, strutturata in sottilissime particelle sensibili al tatto, non appiccicose ma asciutte, non stratificate ma sovrapposte e quindi facilmente mobilitate in superficie dai venti di debole e media intensità, e più in profondità dal più vigoroso vento del Ghibli che le trasporta a distanza sotto forma di fine polvere penetrante ed invasiva fino al respiro. Attraverso le narici supera tutte le barriere protettive insinuando rarefatti granelli nelle papille della lingua il “sapore del deserto”, un’estensione del senso gustativo sviluppato attraverso generazioni negli indigeni, per via della teoria di Charles Darwin che asserisce come “l’uomo si evolva in funzione dell’ambiente”. L’espressione più sublime della “raml” sono gli erg (dune), quelle suggestive conformazioni di esclusiva “sabbia sahariana” che, sospinte dal vento, si muovono ora lentamente ora vivacemente, formando cumuli, ammassi, increspature, creste sinuose, giochi di luci ed ombre  tracciate dal sole tra l’alba ed il tramonto, fantasiosi disegni come quelli di certi pregiati marmi striati “arabescati” delle Alpi Apuane che adornano le scale di lussuosi palazzi. Gli ammassi di dune estesi nei grandi spazi del deserto formano gli erg, intercalati tra altopiani rocciosi o misti a sabbia e roccia, a ridosso di “uidian” (pl. di uadi, fiume asciutto), a contorno di suggestivi laghetti e seducenti oasi di rigogliosi palmeti fonte del prezioso sostentamento primario dei popoli del Sahara: i datteri. Una scenografia “caleidoscopica” unica, affascinante per noi europei consapevoli di non poterci vivere ma è più facile farci i turisti: toccata con fuga e ritorno ai comfort abituali della vita, polveri sottili compreso.

In questo inizio del XXI secolo il deserto del Sahara ha perso parte del suo fascino, non più carovane guidate dai Tuareg orientati dalle stelle per navigare a bordo di cammelli tra i meandri delle dune come onde di un mare senza acqua, non più carrucole cigolanti sui pozzi d’acqua attorniati dalle donne delle tribù e dalle greggi dei pastori nomadi, villaggi di assolate case bianche sulle alture, suggestive oasi ai bordi di uidian, leggere gazzelle mimetizzate tra i cespugli nei solchi, non più apparizioni di miraggi irraggiungibili di laghetti coronati di palme, bensì fuoristrada dotati di navigatori satellitari, torri di trivellazione e campi petroliferi come nel Texas, piste di atterraggio per gli aerei dei magnati e sceicchi del petrolio, campi di tende-albergo per turisti dotate di docce e aria condizionata, stazioni di sosta tipo autostrade con i cestini della spazzatura, meta notturna di iene e sciacalli semiaddomesticati. Gli erg costituiscono ancora un grande richiamo per il turismo nei luoghi in cui si erg…ono. Il turista oppresso dal ritmo di vita stressante della civiltà dei consumi, non esita a trascorrere una vacanza là dove la natura è incontaminata, alla ricerca di una panacea ai suoi mali fisici e psichici curati da quelle scenografie affascinanti, accese all’alba e spente al tramonto per il cambio di scena della notte, quando il cielo si illumina delle stelle che hanno guidato i Tuareg per secoli: Lenke-shem (Stella Polare), Aldebaran (Toro), Eghafn-talamt (Arturo), Eidi (Sirio), Abelkoray (Antares). La “raml” è li estesa a perdita d’occhio, con la sua escursione fino a 30 C° tra il giorno e la notte, attraente, multiforme, cangiante, invadente, dominante, si avverte sulla pelle e penetra impercettibile attraverso le narici inarrestbile. Nelle escursioni negli erg con un po’ di fortuna si possono ancora incontrare le ultime carovane di cammelli, le greggi attorno ai pozzi d’acqua, gli accampamenti di tende dei pastori nomadi e i graffiti incisi dai popoli primitivi nelle rocce dell’Air, Akakus, Hoggar, Tibesti, a richiamo di turisti in cerca di emozioni come quelle che possono dare gli incontri con gli animali del Sahara: lo sciacallo, la volpe, la iena, l’antilope, la gazzella, il varano, i gattar, e meno graditi come la vipera e lo scorpione. Più in là nel tempo, tutto questo potrebbe risultare mutato per via della scienza e della tecnologia, dopo che nel 2009 uno studente dell’Architectural Association di Londra, tale Magnus Larsson, ha vinto il prestigioso concorso indetto dalla Holcim Foundation “sull’ambiente sostenibile’, presentando uno studio per la trasformazione della sabbia delle dune (erg) del deserto, in consistente arenaria a formare delle estese placche. Queste, correttamente posizionate, fungerebbero da barriere e domerebbero il movimento superficiale dannoso delle masse dunose generato dai venti, favorendone l’imbrigliamento e il rimboschimento (acacie eucalipti), quindi la successiva trasformazione in pascoli e terre coltivabili. Si tratta di un lento processo biologico ad opera del “bacillus pasteurii”, un microorganismo presente nelle paludi. A seguito di questa trasformazione gli erg ritornerebbero come nell’era del Paleolitico 10.000 anni fa: campi verdi. Nel Sahara dominerebbero le foreste mitigatrici del clima da secco ad umido, con  conseguente caduta di piogge, gli uidian riprenderebbero a scorrere nei letti asciutti delle  valli, i leopardi e i leoni ritornerebbero nei luoghi di origine a convivere con le gazzelle e le greggi, secondo le leggi naturali della catena alimentare.

Di Vittorio Sciuto