Al Presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano
al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Silvio Berlusconi
al Presidente del Senato, Sen. Renato Schifani
al Presidente della Camera dei Deputati, On. Gianfranco Fini
al Ministro del Tesoro, On. Giulio Tremonti
Comunicato stampa del 18 gennaio 2010
La lettura del decreto attuativo della legge 7/09 art. 4 predisposto dal Ministro per l’Economia, che sarà esaminato dalla Commissione Bilancio del Senato mercoledì prossimo per il previsto parere, ci induce ad appellarci alle Istituzioni, affinché possa essere trovata una soluzione per evitare che, l’applicazione di un provvedimento, varato dall’intero Parlamento in nostro favore, assuma le caratteristiche di un vero e proprio insulto.
Ripercorriamo brevemente la vicenda dei ventimila Italiani espulsi da Gheddafi nel 1970, dopo aver
subito la confisca di tutti i beni in violazione del Trattato internazionale del 1956, del quale l’Italia non ha preteso il rispetto.
Per quarant’anni, dopo modeste leggi di acconto, uscite negli anni ottanta, a favore di tutti coloro che avevano perso beni all’estero, abbiamo atteso la soddisfazione dei nostri diritti, del tutto trascurati anche nella stipula del nuovo accordo internazionale siglato da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto 2008; solo in extremis, e dopo nostre proteste e manifestazioni, la Camera dei Deputati ha sanato questa grave ingiustizia inserendo, coll’apporto di tutti i partiti, una disposizione in nostro favore nella legge di ratifica del Trattato.
Abbiamo ringraziato le Istituzioni, nonostante il singolare meccanismo previsto per l’attuazione della legge: da una parte uno stanziamento non solo modesto ma rigidamente predeterminato (150 milioni di euro in tre anni), dall’altra le complicazioni burocratiche del Ministero per l’Economia che – nel più “assoluto segreto” – ha partorito, a distanza di un anno, uno schema di decreto indecente.
Con ogni sorta di artifizio, al fine di abbassare la misura del coefficiente, è stata aumentata l’entità del “monte indennizzi”, passato da 205 milioni di euro a 359 perché gravato di possibili incidenze future dei contenziosi in corso e da improbabili consistenti esborsi a favore di chi, non avendo per quarant’anni potuto provare la titolarità dei beni, difficilmente potrà produrre oggi nuovi documenti.
Tutto ciò ha portato ad una conclusione persecutoria e assurda: il nuovo indennizzo, con il coefficiente 30 per cento, consentirebbe in pratica ad ogni beneficiario di ricevere oggi, a quarant’anni di distanza, la metà del valore nominale della perdita subita alla data della confisca; in altre parole, chi ha perso beni per 10 milioni di lire nel 1970 riceverebbe ora ben 2.500 euro! Non un appartamento di allora ma il primo acconto per una utilitaria.
Non possiamo non chiederci se quanto lo Stato spenderà per l’istruzione delle pratiche e la relativa liquidazione sia giustificato di fronte alla soddisfazione degli aventi diritto: un rapporto costi-benefici indegno di uno Stato moderno.
Naturalmente il pensiero corre alla totale disponibilità e magnanimità dimostrata nei confronti di Gheddafi che, talvolta a prezzo della dignità del nostro Paese, è servita e servirà ad assicurare consistenti commesse alle grandi imprese italiane anche di Stato.
In conclusione i Rimpatriati, pur non pretendendo di giudicare la politica estera ed economica del Governo, sperano di non dover ricevere questo ennesimo schiaffo dalle Istituzioni che hanno sempre rispettato.