Comunicato stampa del 12 marzo 2009

Come non essere sconvolti leggendo le dichiarazioni di un Presidente del Consiglio che – anche più del necessario e anche quando non è necessario – infanga il passato del proprio Paese senza alcuna dignità davanti al Capo di uno stato straniero e senza alcuna utilità davanti ai responsabili delle aziende che potranno andare a lavorare in Libia, dietro pagamento di una cospicua commissione annuale?

Ci rendiamo conto che il nostro Presidente possa non sapere, perché era appena adolescente, quello che accadde nel 1951: fu allora che l’ONU decise le sorti della Libia e l’Italia stabilì di chiudere il passato coloniale dando un risarcimento assai generoso (5 milioni di sterline) alla neonata Monarchia Libica la quale, con la firma del trattato bilaterale del 1956, si impegnò – così come le Nazioni Unite avevano richiesto – alla collaborazione e al rispetto delle collettività straniere residenti nel Paese.

Ciò doveva avere il significato di porre la pietra tombale su tutti gli orrori che occupazioni e guerre comportano: le sofferenze inflitte dall’Impero Ottomano al popolo libico per oltre un secolo, gli errori della nostra tardiva colonizzazione pagata, tra l’altro, con l’orrore delle centinaia di bersaglieri italiani uccisi così crudelmente a Sciara Sciat.

La “damnatio memoriae” è sempre un esercizio pericoloso: di questo passo potrebbe anche accadere che, a distanza di anni, le battaglie di libertà nelle quali il nostro Paese è impegnato oggi a fianco di democrazie deboli, siano scambiate per neocolonialismo e i nostri nipoti potrebbero anche accusarci di “averne combinate di tutti i colori”.

Ci rendiamo conto anche che, da trentenne impegnato a cantare sulle navi da crociera e, subito dopo, a dare l’avvio alla costruzione delle proprie fortune personali Berlusconi possa non ricordare che, in spregio a qualunque norma di diritto e di civile convivenza, Gheddafi si era ampiamente rifatto nel 1970, prendendo di mira noi cittadini italiani sottoposti a vessazioni di ogni genere, spogliati di ogni nostro avere e buttati fuori dal Paese nel quale eravamo nati, allontanandoci così fino ad oggi da un popolo che nell’esilio ci è rimasto assai più amico e vicino di tanti nostri connazionali.

Ma quel ragazzo e quell’imprenditore di successo è oggi il Presidente del Consiglio di tutti gli Italiani, anche nostro, e non può ignorare i nostri morti, non riconoscere il nostro sacrificio invece di darci finalmente anche il giusto risarcimento morale, dopo essere riuscito – su pressione dell’intero Parlamento – a trovare un piccolo e ancora insufficiente stanziamento per quell’indennizzo che da trentotto anni rivendichiamo.