Comunicato del 23 settembre 2004

Bene , ci dicono che Gheddafi si è messo sulla strada dell’ordine internazionale. Dopo aver accettato la rinuncia al terrorismo e alle armi nucleari, adesso collaborerà nel contrasto all’emigrazione clandestina e ai traffici illegali nel Mediterraneo. Speriamo davvero che sia così. In cambio il leader libico ha ottenuto qualcosa non da poco: il perdono di oltre 30 anni di dittatura spietata con i dissidenti; con una piena rilegittimazione internazionale compresa la rimozione delle sanzioni economiche e la possibilità di acquistare tutti gli armamenti che gli occorrono. Un affare davvero vantaggioso, degno -lo diciamo con ammirazione- della tradizione dei grandi negoziati sotto la tenda tra parti occidentali e parti arabe.

Ma tutti hanno guadagnato in questa storia. Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania sono stati risarciti materialmente passando un colpo di spugna sulle centinaia di vittime del terrorismo attribuito alla Libia. L’Europa ha rimosso l’embargo soddisfatta della riapertura di un bel mercato praticamente ancora vergine. Per di più l’Occidente ha acquisito la Libia come sicuro avamposto nella lotta contro l’Islam integralista. Siamo d’accordo, ne valeva davvero la pena. Ma l’Italia? Bella domanda.

Abbiamo sentito i commentatori dei mass media affermare che la rimozione dell’embargo è stato una vittoria della nostra diplomazia, per aver ottenuto il via libera dei partner europei. Semmai è stato un successo personale del ministro Giuseppe Pisanu -con il quale ci complimentiamo sinceramente- che è riuscito a far passare la tesi secondo cui Gheddafi non avrebbe potuto sinora bloccare le navi degli immigrati in partenza dalle coste libiche, perché non ne aveva i mezzi. E dunque bisognava vendergli motovedette e binocoli. Bene, ammettiamo pure che “Bruto era un uomo d’onore”, ma lo stesso ministro dell’Interno vorrà convenire con noi che, a questo punto, un giudizio non di maniera sull’operazione resta necessariamente sospeso, in attesa di verificare la concreta collaborazione della Libia. Dio, voglia che il colonnello, soddisfatto dei propri successi –lui sì che ne ha motivi immediati- mantenga la parola, almeno stavolta. Sarebbe terribile se invece continuasse a usare le ondate di clandestini come strumento di pressione sull’Italia per ottenere altre soddisfazioni.

Questa è solo la prima e ovvia condizione cui resta affidata la faccia del nostro Paese, ossia il nostro onore nazionale, celebrato troppo spesso con ostentazioni di vuota retorica. Poi c’è una seconda condizione, ormai davvero ineludibile . Ed è il nostro ruolo nella lunga e insensata storia del contenzioso italo-libico , nell’alternarsi di eventi e tragedie di cui noi rimpatriati non siamo solo le vittime tuttora dolenti e in attesa di risarcimento finale. Ma siamo il simbolo dell’umiliazione a suo tempo ricevuta dall’Italia, lo spettro shakespeariano che si aggira inquieto sulle torri del castello. Poiché la nostra espulsione nel 1970 e l’ostracismo che ancora ci perseguita rivivono ogni anno nel “giorno della vendetta” che Gheddafi continua a celebrare e di cui non a caso Gianfranco Fini ha chiesto l’abolizione in contemporanea con la revoca dell’embargo internazionale . Finalmente, una mossa politica che ha stabilito le regole per chiudere almeno alla pari la partita con Tripoli .

Il nuovo realismo politico di Fini ha anche dato una risposta finale all’interrogativo che noi rimpatriati dalla Libia avevamo sottoposto al governo alla fine di agosto, alla vigilia dell’ultima visita del presidente Berlusconi a Sirte. Avevamo chiesto se i nostri diritti storici, politici ed economici, potevano essere archiviati, come forse qualcuno, giustificandosi con la situazione di cassa dello Stato, pensava di fare. Le ultime vicende italo-libiche hanno rivelato che in politica e soprattutto nella politica internazionale i problemi accantonati non possono scomparire e quindi riemergono fatalmente, anche più gravi e perentori di prima. Così è stato finora per l’irrisolto nodo complessivo Italia-Libia , nel quale siamo stati sinora il capro espiatorio.

Se il contenzioso tra i due Paesi fosse stato affrontato e risolto a suo tempo, se le ingiuste pretese libiche fossero state ridimensionate con sincero e fermo realismo, senza indulgenze tattiche, oggi probabilmente Gheddafi non insisterebbe ancora per ottenere un “gesto” di espiazione da parte dell’Italia. Ma speriamo che tutto questo diventi ormai acqua passata. Dopo le promesse e le illusioni ricevute da questo governo e dopo una sgradevole fase di “telefoni staccati”, abbiamo ricevuto nuovi credibili segnali d’attenzione da Palazzo Chigi e soprattutto dal ministro Mirko Tremaglia in vista della legge finanziaria d’autunno. Con spirito di attesa e di rinnovata fiducia andiamo al nostro convegno-assemblea del 30 e 31 ottobre, aprendo fin da adesso la discussione su quelle che saranno le nostre condizioni per dichiarare se effettivamente la partita possa essere chiusa.