Comunicato del 12 settembre 2003

Nel bene e nel male, gli Stati che guidano la storia si distinguono sempre da quelli che la subiscono. Gli italiani espulsi nel 1970 dalla Libia hanno seguito con alterni sentimenti le vicende che porteranno stasera il Consiglio di sicurezza dell’Onu a votare la fine delle sanzioni al governo di Tripoli. Accogliamo questa svolta innanzitutto con l’augurio sincero che sia la base per una reale democratizzazione della Libia e per il suo convinto ritorno nella comunità internazionale.
Rileviamo però con delusione che una decisione storica come la rimozione dell’embargo per i misfatti attribuiti a quel Paese sia stata in sostanza venduta e comperata con una transazione mercantile, per tacitare le spoglie dei morti e il dolore dei vivi. La comunità internazionale avrebbe potuto verificare la sincerità della redenzione libica con mezzi ben più onorevoli per la dignità dell’Onu, degli Stati e della stessa Libia, oltre che delle famiglie coinvolte.
Constatiamo infine con amarezza che, comunque, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno saputo gestire il loro contenzioso con l’abituale determinazione, guadagnandosi un rango di rispetto nei futuri rapporti con Tripoli. Quanto all’Italia, ha patrocinato gratuitamente la fine delle sanzioni con la stessa sospetta generosità con la quale, dopo aver incassato senza reazioni lo schiaffo della nostra cacciata nel 1970 (primo di una lunga serie), non ha mai avanzato questo credito con !a Libia e non ha mai chiuso questo debito con noi rimpatriati.
E’ ben vero che noi siamo vivi, a differenza delle povere vittime di Lockerbie, dell’Uta e di altre storie. Ma è anche vero che una parte di noi è morta quando la Patria italiana ci ha abbandonati la prima volta e continuerà a morire finché il nostro risarcimento morale e materiale rimarrà aperto.