“È un dolore enorme per noi italiani di Libia vedere il Paese nel quale siamo cresciuti messo a ferro e fuoco da lotte fratricide, nelle quali facilmente si inseriscono gli estremisti islamici per minacciare l’Occidente e l’Italia da vicino.” Così dichiara Giovanna Ortu, Presidente dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia.

“Le presunte “colpe” del colonialismo non giustificano la politica miope con la quale i governi passati hanno rinunciato a far valere i diritti degli italiani nei rapporti bilaterali. Dal nostro punto di vista la  politica estera italiana in questo senso (ora come allora) è stata sempre caratterizzata da una eccessiva quiescenza nei confronti di Gheddafi e questo peccato originale è stato reiterato in ogni occasione.”

“Dalla nostra cacciata nel 1970 – continua la Ortu – quando l’Italia ha rinunciato, pensando di salvare le concessioni petrolifere, a mettere sul piatto gli oltre 3 miliardi di euro dei nostri beni confiscati, si è passati al Trattato del 2008, che ci doveva garantire dalle smanie anticolonialiste del dittatore a carissimo prezzo e dimenticando il nostro contenzioso, per finire al 2011, quando Prodi ha lasciato all’interventista Sarkozy la centralità del nostro ruolo nel Paese africano.  

In quel contesto sembra incredibile pensare come l’Italia e la coalizione internazionale, quando hanno deciso di agire, non abbiano strategicamente ragionato su una successiva azione che rendesse stabile l’area nel dopo Gheddafi. Ma se l’Europa è distante, anche fisicamente, per noi italiani la pacificazione della Libia doveva e deve essere una priorità.”

“Ora – conclude – il nostro territorio è minacciato, a poche centinaia di miglia marittime, dalle avanguardie del califfato islamico mentre i nostri connazionali che vivono e lavorano in Libia sono stati costretti a rientrare, come successe a noi, dopo essere stati spogliati di tutto, 45 anni fa. Comprendiamo la loro amarezza, a partire da quel Bruno Dalmasso, per anni incaricato dall’Associazione di seguire il restauro del cimitero italiano di Hammangi a Tripoli e che oggi, dopo una vita passata in Libia, deve abbandonarla.

Al di là delle giuste dichiarazioni di circostanza dei suoi esponenti, chiediamo quindi al giovane governo di Matteo Renzi, che ha dimostrato in questi mesi di saper tenere la barra dritta nei momenti importanti, di concentrare tutti gli sforzi verso una  soluzione definitiva della crisi libica, per non abbandonare il ruolo di primaria importanza che l’Italia ha sempre occupato in Libia e tutelare finalmente, prima che sia troppo tardi, i cittadini italiani.”