La Stampa – 13 Aprile 2014

Libia sempre più nel caso. A un mese dalle dimissioni forzate del premier Ali Zaidan, costretto a fuggire in Germania dopo un drammatico voto di sfiducia in Parlamento, oggi è la volta del nuovo primo ministro Abdullah al Thani. 

Al Thani ha annunciato le sue dimissioni irrevocabili dopo che un gruppo di uomini armati, definiti «traditori», ha circondato e sparato sulla sua abitazione . «Io e la mia famiglia – si legge nella lettera di dimissioni al Congresso – siamo stati vittime di un attacco brutale che ha terrorizzato il vicinato e ha messo a serio rischio le nostre vite».  

Ordinaria amministrazione a Tripoli, dove la sicurezza è affidata alle «brigate», i gruppi armati che hanno lottato contro il defunto dittatore Muammar Gheddafi e non hanno mai ceduto le armi, a tre anni ormai dalla rivoluzione. 

Il ministero dell’Interno è stato più volte obiettivo di raid che terminavano con i kalashnikov puntati contro il titolare di turno, se non obbediva alle direttive delle «katiba», le «brigate», alcune pesantemente infiltrate da elementi islamisti o ex miliziani di Al Qaeda. 

Zeidan era caduto sulla gestione di porti petroliferi dell’Est, finiti in mano ad altre milizie, secessioniste e islamiste, della Cirenaica, ribattezzata Barqa e di fatto uno stato indipendente. Al Thani ha trattato con i ribelli dell’Est e ottenuto la riapertura di due terminal, ma ha fatto infuriare le brigate di Tripoli e di Misurata. Un terminal vicino alla capitale è stato a sua volta bloccato mentre uno sciopero spontaneo, per protestare proprio contro lo strapotere delle brigate, ha coinvolto da lunedì a giovedì sia Tripoli che Bengazi. 

Questa mattina il colpo di scena finale, e la conferma che i kalashnikov delle brigate hanno l’ultima parola, qualunque sia la faccia posta nella casella sempre più simbolica di primo ministro libico. 

Giordano Stabile