Il Giornale – 5 Febbraio 2014

Secondo qualcuno  è  stata un’irruzione di nostalgici del vecchio regime decisi a vendicare l’intervento dell’Italia a fianco della Nato  contro Gheddafi.

Secondo altri una profanazione perpetrata da uno pseudo stregone alla ricerca di reperti umani per i suoi macabri riti. La verità probabilmente non la sapremo mai. Di certo  il cimitero italiano di Tripoli è stato nuovamente violato. Di certo il cuore di  Bruno dal Masso sanguina di nuovo. 

Bruno, 80 anni, è il custode silenzioso dei resti di oltre 7mila italiani sepolti in questo cimitero tra l’inizio del secolo e gli anni 70. Lui e  sua moglie Nura per 30 anni hanno scavato, riesumato, identificato, trasferito in cassette numerate le ossa dei nostri connazionali. Un lavoro immane che è valso ad entrambi il titolo di Cavaliere conferito dalla Presidenza della Repubblica. Ma quel lavoro è anche la grande sofferenza  di Bruno Dal Masso. Ogni qualvolta quel cimitero viene violato, ogni qualvolta un vandalo profana gli ossari il suo cuore sanguina. E’ successo di nuovo  il 18 gennaio quando  gli abitanti del quartiere hanno detto di aver visto degli scalmanati penetrare  nel perimetro del camposanto, dare fuoco ai loculi, violare le cripte incendiare due automobili parcheggiate all’interno, abbattere l’angelo di pietra simbolo di quel luogo santo.

Ma Bruno non crede alla storia dei nostalgici. A sentir lui e i guardiani del posto i fanatici del vecchio regime non sono mai entrati all’interno. Il grosso dei danni l’avrebbe fatto un invasato sorpreso con un teschio in mano mentre cercava di trafugare  un paio di cassette piene di ossa. Quel pseudo stregone freddato da un colpo di kalashnikov non potrà mai raccontare la verità. Bruno Dal Masso però teme di veder perduto il suo lavoro. Tripoli e la Libia sono nel caos. In un paese senza legge e senza sicurezza violare quel simbolo del passato coloniale, profanare le cripte,  trafugare i poveri resti diventa sempre più facile. A  allora  forse  l’unica soluzione sarà abbandonare la Libia  trasferire  le cripte, le lapidi e le ossa dei nostri connazionali in un sacrario  sul suolo italiano. E con quelle anche reperti storici come la  lapide in marmo bianco che segnava la tomba del  maresciallo dell’aria «Italo Balbo quadrumviro governato­re generale della Libia ». Abbattuto «nel cielo di Tobruch 28-6-1940». “Forse è l’unica cosa giusta da fare – ammette sottovoce Bruno – ma a questo cimitero io e mia moglie Numa abbiamo dedicato la nostra vita e la nostra unione. E solo a pensarci ci  sanguina il cuore”.

Gian Micalessin