La Repubblica – 19 Gennaio 2014

Nuovo assalto, nuova devastazione del cimitero cattolico di Tripoli, uno degli ultimi simboli della presenza italiana nella città. Sabato sera un gruppo di una quarantina di persone, nostalgici del regime del colonnello Gheddafi, approfittando dell’assenza dei quattro custodi libici, ha sfondato il cancello di ingresso. Sono state date alle fiamme due automobili, è stata incendiata l’abitazione del custode con i mobili ed è stata spaccata la porta di ingresso della cappella del cimitero. I gheddafiani hanno sfilato con le bandiere verdi del vecchio regime, lanciando slogan contro Roma che “addestra l’esercito dei ribelli traditori”. Hanno poi spaccato i vetri dei due padiglioni in cui erano i loculi di molti italiani seppelliti durante gli anni del colonialismo: i loculi erano già stati devastati più volte, e per questo da tempo il Ministero degli Esteri aveva restaurato il cimitero, ma aveva anche trasferito i resti degli italiani. 

Secondo alcuni italiani a Tripoli l’atto è stato messo a segno da gheddafiani che volevano vendicarsi per l’ultima notizia arrivata dall’Italia: anche sulle tv arabe sono girate le immagini dei soldati del nuovo esercito libico, quello dei “ribelli”, che hanno iniziato il loro addestramento a Cassino, a cura dell’Esercito italiano. L’Italia è il primo paese che ha iniziato concretamente a sostenere il nuovo esercito, e questo in un momento in cui gli sconfitti stanno provando a rialzare la testa. Da giorni infatti i nostalgici del Colonnello sono tornati in azione in Libia, soprattutto nel Sud, attorno a Sebha, dove si sono alleati con le tribù Tebu contro alcune tribù arabe locali che sostengono il governo. Alcune caserme sono state attaccate, una base dell’aeronautica è stata conquistata dai gheddafiani e dai Tebu, e da Tripoli il governo ha ordinato all’esercito di marciare verso Sud per riprendere le postazioni. 

Nel frattempo non ci sono notizie incoraggianti sulla sorte dei due operai italiani rapiti venerdì in Cirenaica, sulla strada di Derna. Francesco Scalise e Luciano Gallo sono stati bloccati da un gruppo armato che li ha costretti a scendere dal loro furgone e a salire su un altro veicolo nei pressi del villaggio Martuba, tra Derna e Tobruk. Erano usciti per eseguire dei lavori. Sono residenti in due comuni della provincia di Catanzaro: Scalise è di Pianopoli e Gallo di Feroleto. Il loro furgone è stato ritrovato abbandonato in una zona isolata da altri operai della General World, la piccola impresa edile di Crotone per la quale lavorano. I loro colleghi hanno provato a cercarli nei dintorni, ma non hanno trovato alcuna traccia. Nella base della General Works a Tripoli si trovava il fratello di uno dei due, Angelo Scalise: è stato lui a dare l’allarme rivolgendosi all’ambasciata italiana a Tripoli. Il console italiano a Bengasi Federico Ciattaglia ha ripetuto che la zona del rapimento è una delle più pericolose della Libia, tanto che da quando a Bengasi furono sparati colpi di kalashnikov contro l’auto del precedente console, la Farnesina formalmente ha lasciato aperto il consolato ma ha ritirato il console, che adesso risiede a Tripoli. 

Il timore è che adesso ci si trovi di fronte a un rapimento messo a segno da uno dei tanti gruppi integralisti che fanno riferimento ad Al Qaeda: sono presenti in forze non solo in Cirenaica ma proprio attorno a Derna, storico bastione dell’integralismo islamico sin dai tempi del regime di Gheddafi e della guerra in Afghanistan contro i sovietici. Da Derna negli anni sono partite decine di militanti, impegnati a combattere con i mujahiddin in Afghanistan e che poi si sono avvicinati ai gruppi della Jihad e a quelli collegati ad Al Qaeda. 

Tutto questo accade mentre la situazione politica in Libia è a un punto critico: da giorni le opposizioni al governo del premier Ali Zeidan stano provando a raggiungere un accordo per trovare i 120 voti necessari a sfiduciarlo. Un voto di sfiducia era previsto per questa sera, ma al momento nel Congresso non ci sarebbero i numeri per la sfiducia.

Vincenzo Nigro