La Repubblica – 5 Dicembre 2013

Ancora un brutto segnale di violenza dalla Libia, da Bengasi, la città in cui un anno fa nell’assalto al consolato americano vennero uccisi l’ambasciatore americano Chris Stephens e altri tre diplomatici Usa. Stamattina, mentre faceva jogging da solo, è stato ucciso Ronnie Smith, un professore statunitense di chimica che insegnava nella International School di Bengasi, città da cui partì la rivolta anti-Gheddafi del 2011 ma che oggi è diventata il simbolo dell’instabilità del paese. 
Smith era uno dei pochissimi stranieri che sono ancora rimasti a Bengasi e in tutta la Cirenaica: dopo la morte dell’ambasciatore Stevens, la presenza occidentale a Bengasi è stata ridotta al minimo, anche il console italiano Guido De Sanctis venne fatto partire dopo un attentato contro la sua auto blindata.  L’ultimo a partire il console malese, richiamato alla Valletta dopo che perfino a lui, considerato da tutti “un libico” erano arrivate minacce di morte.
Originario del Texas, 33 anni, sposato e con un figlio piccolo, Smith era arrivato a Bengasi alla fine del 2012, per insegnare chimica alla Scuola internazionale. Su Internet, nelle loro bacheche, i ragazzi della scuola lo ricordano come un uomo generoso, che aveva offerto tutto se stesso alla causa del popolo, dei giovani libici.
Ma Bengasi ormai è una città in cui la sicurezza è sfuggita di mano a tutti perché nessuno controlla il potere e le forze di polizia. Solo oggi sono stati assassinati 3 militari, ieri altri 2, nella notte un terzo è sfuggito a un attentato. Come ricorda l’Ansa, stamane nel primo attacco un membro delle forze di sicurezza di 28 anni, Salah Werfalla, è stato colpito da colpi d’arma da fuoco. Il secondo assassinato è stato un altro ufficiale, Ahmad Tarhuni, freddato alla stessa maniera. La terza vittima era un ufficiale dei servizi segreti, Salah Hammud, morto nell’esplosione di un ordigno piazzato nella sua auto. Una guerra quotidiana che prende di mira poliziotti, soldati, giudici, attivisti e giornalisti in una regione dove il potere centrale di Tripoli non riesce a imporre la propria autorità ma anche le formazioni e i gruppo politici locali sono in contrasto fra di loro e incapaci di controllare la piazza. 
Fino a qualche settimana fa la sequenza degli assassini lasciava individuare un filo rosso: erano tutti ex agenti o militari del regime di Gheddafi, oppure funzionari ancora oggi in servizio che però avevano lavorato (e oppresso la popolazione) ai tempi del colonnello. Molti interpretavano questi continui assassinii come spietate ma semplici vendette da far risalire al tempo della dittatura. Adesso però vengono uccisi uomini che non avevano nulla a che fare con Gheddafi, che lo hanno anche combattuto, che stanno provando a ricreare oggi le strutture di sicurezza per la Libia. Sicuramente uno degli attori che sta effettuando questi “omidici mirati” è il gruppo jihadista di Ansar al Sharia, il “partito della legge islamica”, che venne ritenuto l’esecutore dell’assalto al consolato americano. 
Due settimane fa Ansar al Sharia aveva avuto un pesante scontro a fuoco con l’esercito, in cui erano rimasti uccisi una decina di soldati e molti militanti integralisti. Una battaglia che aveva suggerito al premier Ali Zeidan di volare a Bengasi, dove per lui è sempre stato difficile anche solo atterrare all’aeroporto ed entrare in città, per provare a incontrare e mobilitare i capi della sicurezza locale. Il sospetto è che a questi omicidi mirati di un gruppo qaedista come Ansar al Sharia si sia aggiunto di recente anche un ruolo di altri gruppi integralisti, anche di bande di criminali o di gruppi politici che hanno tutto l’interesse a cancellare ogni presenza straniera in Cirenaica per evitare appoggio e sostegno a quei gruppi di ribelli che hanno preso il potere e vogliono provare a stabilizzare il paese.

Vincenzo Nigro