Il Sestante – Bollettino del CESI – 24 Ottobre 2013

Purtroppo sono state – e lo sono tuttora – trascurate in Italia, pure alla lontananza creata dal tempo passato, le testimonianze tuttora viventi di quanto sia stata producente per le popolazioni africane la presenza italiana là dove essa ha potuto esplicarsi. Ci riferiamo a questa riguardo, come esempio di forte consapevolezza e documentazione, all’ AIRL, Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia – presieduta dall’ottima e dinamica Giovanna Ortu – il cui periodico Italiani di Libia, diretto da Daniele Lombardi, nel numero di ottobre da poco uscito, ha illustrato 10 spirito del loro Convegno organizzato per il 6 ottobre scorso a Roma pressola Pontificia Università Urbaniana.

La domanda alla quale il Convegno è stato invitato a rispondere è la seguente: La pluridecennale presenza italiana in Libia (non va dimenticato che i libici erano diventati tutti, anche gli originari abitanti cittadini italiani e non sudditi, nell’ambito del concetto che quella terra doveva considerarsi “quarta sponda” della nostra penisola) può, o no, considerarsi presupposto per contribuire alla ripresa dello sviluppo di quel Paese, oggi purtroppo così travagliato?

La risposta è stata posta, con giusto senso concreto derivante dalla realtà attuale, dal direttore Lombardi nel suo editoriale dal titolo “La Libia, la Storia e noi”, e porta significativamente come occhiello “Orizzonti lontani per la primavera araba”.

Infatti, Lombardi scrive che, dopo il periodo della presenza italiana in quella terra: «Nella sua storia la Libia ha già avuto una volta l’occasione di essere organizzata dall’esterno (tra il ’43 ed il ‘51, quando la formula del protettorato per le ex-colonie poteva avere un senso. Ma quella è un epoca passata: Gheddafi, tra le tante sofferenze che ha inflitto al suo popolo, ha però infuso loro uno spirito nazionale, anche se distorto, esagerato e basato su falsi miti. E questo non si può scardinare con la rivoluzione: il mondo esterno può dare una mano alla Libia, ma solo se richiesta».

Il direttore di Italiani di Libia, quindi, ha ripreso nel proprio articolo un pezzo di Pierluigi Battista uscito sul Corriere della Sera con il titolo allusivo “Ipocrisia democratica” e ha concluso: «In questo quadro, complesso e angoscioso, ancora una volta i rimpatriati possono fare la loro parte: d’altronde sono stati (gli ultimi) testimoni di una Libia prospera e solidale, nella quale le differenze culturali e religiose erano al minimo storico e alla quale forse è bene guardare per cercare di ritrovare quello spirito di fratellanza all’interno del popolo libico e della Libia verso il mondo (e l’Italia in particolare) che deve costituire la base per un futuro nel quale gli “orizzonti” siano nuovamente riconoscibili».

Sulla specificità del colonialismo italiano in Libia è in corso presso il Dipartimento di Lettere Arti e Scienze Sociali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, una ricerca storica. Già in passato, nel marzo del 2012, fu tenuto presso quella Università un Convegno dal titolo La Libia nella storia d’Italia alla quale hanno partecipato i maggiori esponenti della storiografia sia italiana che libica (Francesco Cresti, Nicola La Banca, Gianpaolo Ferraioli, Mohammed Jerary, Salaheddin Hasan Sury).

Il prof. Stefano Trinchese, che coordina l’équipe di questo studio, nel suo articolo in preparazione del recente Convegno AIRL (al quale ha partecipato), scrive che è necessario, non solo di ricostruire l’identità del contributo italiano al progresso libico, prima e dopo l’ultima guerra mondiale, ma anche contribuire alla valutazione dei grandi mutamenti occorsi in Libia e degli sviluppi che essi possono avere in senso positivo se vi sarà una attiva presenza del nostro Paese nel pieno rispetto della sua indipendenza.

In sostanza, dallo studio del gruppo di Trinchese si rileva come sia necessario ai fini del recupero di una antica amicizia e della ripresa del benessere sociale ed economico della Libia intervenire perche, diversamente, le sue popolazioni rischiano di regredire alle antiche divisioni dei vari lembi del territorio da loro abitato, divisioni per di piu aggravate dal ripristino di antichi odi tribali, etnici e religiosi.

Sempre sull’argomento relativo alla cooperazione fra l’Italia e i Paesi africani va ricordato un Convegno dal titolo “Ricordi d’Africa 4” organizzato a Palazzo Marini di Roma, a cura del Centro Studi e Sicurezza presieduto dal sen. gen. Luigi Ramponi che si batte in maniera lungimirante per una sempre maggiore cooperazione fra l’Italia e le nazioni nelle quali il nostro Paese portò i germi di un superiore sviluppo civile ed economico.

Vi hanno preso parte il Ministro plenipotenziario Francesco Paolo Venier, responsabile della Direzione per i programmi e le politiche della cooperazione; lo storico Francesco Prestopino e la Presidente dell’AIRL, Giovanna Ortu. Fra le varie relazioni vanno segnalate quelle di Mario Pellegrino, del Gruppo Italiano Sminamento Umanitario proveniente dal Genio Militare; di Franco de’ Molinari sulla politica coloniale italiana dopo l’Unità d’Italia; di Gianni Bisiach sul Circolo universitario di Asmara, da lui frequentato; di Maria Gabriella Ripa di Meana e di Bruno Simone.

E’ interessante la dichiarazione fatta alla stampa, a margine di detto Convegno, dal gen. Ramponi: «L’Italia fa ancora troppo poco per la crescita dei Paesi sottosviluppati. Discutere se dare lo  0,016 o lo 0,018 del PIL per la cooperazione è cecità politica. Una cecità che non hanno Paesi come la Turchia o l’India, che stanno soppiantando gli europei negli aiuti allo sviluppo dell’Africa».

Ramponi ha poi aggiunto: «La Libia è ancora in una fase di emergenza. Con le bande in azione avviene ciò che si è verificato, con la caduta di Tito in Jugoslavia» ed ha concluso che il Convegno non ha voluto essere solo una rievocazione storica «ma un luogo di confronto per discutere su quale sia oggi I’impegno dell’Italia per questi Paesi facendo il punto sulla cooperazione in atto».

Le iniziative del sen. gen. Ramponi sono particolarmente significative, perché si tratta di una personalità che ha potuto conoscere le varie realtà politiche ed istituzionali italiane ed estere da posizioni di alto rilievo. Inoltre, in aggiunta agli incarichi ricoperti di Comandate Generale della Guardia di Finanza, di Direttore del SISMI, di Segretario Generale della Difesa, va sottolineato il fatto che ha vissuto infanzia ed adolescenza in Eritrea e quindi ha acquisito una sensibilità particolare e porta un ricordo vivo dell’armonica coabitazione degli italiani con la popolazione di quel territorio.

Gaetano Rasi