La Repubblica – 20 Settembre 2013

Una rivoluzione che non marcia verso la pace non riesce neppure a trovare giustizia. La tibia del dopo Gheddafi e un cantiere in lento movimento, ma rimane anche un vulcano attivo in cui all’improvviso l’esplosione può riprendere rabbiosa. Anche per una giustizia, una forma qualsiasi di punizione legale per quelli che furono i simboli del Male in questa terra, è ancora assai lontana.

Ieri a Tripoli per la prima volta doveva entrare in un’aula di tribunale Saif Gheddafi, il figlio del colonnello, il giovane erede designato che per anni aveva vestito il doppiopetto delle colombe, della diplomazia e del business. Salvo trasformarsi in capomilitare nei giorni della rivolta, pronto a difendere la famiglia combattendo contro i ribelli e la Nato. Dal girno delIa sua cattura nell’autunno del 2011 Saif el Islam è rimasto nelle mani della milizia di Zintan, una delle piu agguerrite, una delle più orgogliose. E ancora ieri i guerriglieri di Zintan hanno fatto capire al mondo che la Libia e un paese eccezionale, fuori dalla norma. Saif era atteso in aula a Tripoli, la capitale, dove il procuratore generale Abdul-Kader Redwan era sicuro che sarebbe riuscito ad interrogarlo. Quelli di Zintan non lo hanno trasferito a Tripoli, il processo è stato rinviato al 12 dicembre, ma il braccio di ferro fra governo centrale debolissimo e la milizia e ancora in piedi. Ieri mattina brevemente Saif è comparso in un’aula di tribunale che i ribelli di Zintan gestiscono nella loro cittadina, assieme alla prigione, al comando di polizia e alle altre “istituzioni” autonome di questa città-Stato all’interno di una Libia che non ha un vero Stato centrale.

Da mesi gli attivisti internazionali per i diritti umani dicono che a Saif va garantito un processo regolare, nonostante gli orrori che ha commesso assieme al padre e a tutto il suo clan familiare. Human Rights Watch e Amnesty lntemational ripetono che Saif va consegnato al Tribunale penale dell’ Aja, alla Corte intemazionaIe delle Nazioni Unite. Una richiesta che I’Onu fa al governo di Tripoli che però – come si è capito ancora meglio ieri – non è ancora in grado di imporre nulla alle milizie di Zintan.

Saif el ISlam e l’unico figlio del Colonnello, l’unico simbolo dell’orrore gheddafiano che sia rimasto nelle mani dei ribelli libici. Tutti gli altri sono morti o fuggiti all’estero. Saif el Arab, il violento Mutassim e il “generale” Khamis sono stati uccisi in Libia durante i combattimenti del 2011. Per mesi il resto della famiglia, assieme ai “rimanenti” del potere gheddafiano, dall’estero ha provato a finanziare una controrivoluzione, a pagare e sostenere pezzi di ex regime pronti a ribellarsi ai ribelli. Ma nelle ultime settimane il pericolo di uno scontro delle milizie con lo Stato e la crescita del ruolo delle milizie integraliste in Libia ha quasi cancellato del tutto il pericolo di un ritorno dei nostalgici gheddafiani. Anche per questa il resto della famiglia Gheddafi sembra rassegnato ad allontanarsi sempre più dal paese. E lo sta facendo: la seconda moglie del colonnello, Safiya, madre di sette degli otto figli biologici di Gheddafi, dopo aver trascorso più di un anno in Algeria ha chiesto asilo all’Oman. Il sultano Qabus ha concesso asilo a lei e sembra anche ai figli Aisha, Muhammad e Hanaa per ragioni “umanitarie”, a patto che non facciano politica e rimangano sotto il controllo dei servizi segreti omaniti e dei loro alleati della Cia. Saadi Gheddafi, che in Italia conosciamo perche aveva provato a giocare al calcio nel Perugia grazie ai soldi del papà, ha trovato rifugio in Niger: potenzialmente sarebbe più vicino alla Libia e alla regione in cui jihadisti e terroristi sono in grado di destabilizzare la Libia. Ma chi conosce Saadi dice che lui del colonnello porta solo il cognome: capacità politica o militare vicina al nulla.

Vincenzo Nigro