Corriere della Sera – 25 Luglio 2013

Negli scorsi giorni è mancato Alessandro Spina (Vassilij Khuzam), scrittore, collezionista, intellettuale, che aveva il dono fenomenale della conversazione, dei mémoires e delle opere epistolari, di cui testimonianza magistrale è il suo carteggio con Cristina Campo, pubblicato da Adelphi. Descriveva il mondo libico, prevalentemente della metà del secolo scorso, conosceva i dettagli e l’atmosfera non per sentito dire, ma direttamente. La sua famiglia contribuì allo sviluppo economico del Paese negli anni del Regno sino a quando l’arrivo al potere di Muammar Gheddafi segnò le sue sorti e quelle di altre famiglie dell’alta borghesia. Lo scrittore si salvò per miracolo, arrivato in Italia seppe ricostruire la vita nella campagna bresciana, e soprattutto ebbe quella fortuna letteraria che iniziò quando era in vita e certamente crescerà dopo la sua morte. Lei lo conosceva. Potrebbe parlarci di questa straordinaria persona magari spiegando alcuni contesti storici e politici importanti per la comprensione delle sue validissime opere?

Elena Kostioukovitch, Milano

Cara Signora,

parlerò di un aspetto della sua vita che Spina trattava generalmente con discrezione e con apparente distacco. Suo padre apparteneva a una famiglia di maroniti siriani, giunti in Cirenaica dopo la Grande guerra, ed era proprietario di una fiorente industria tessile di Bengasi. Il giovane Alessandro aveva una spiccata vocazione letteraria e si era laureato in Lettere all’Università di Milano nel 1953, ma dopo il ritorno in Cirenaica, nello stesso anno, aveva cominciato a lavorare nell’azienda e ne era divenuto direttore. Bengasi era la seconda città del Regno, ma anche capitale della Senussia, la confraternita religiosa di cui re Idris era al tempo stesso leader spirituale e temporale. Mentre Tripoli, anche prima della conquista italiana era sempre stata, città di traffici e di numerose comunità etnico- religiose—i greci, i maltesi, gli italiani, i turchi, gli egiziani, gli ebrei — Bengasi era più austera, più islamica e soprattutto più congeniale al carattere di Idris che vi aveva fatto costruire una seconda residenza reale. 

Credo che Spina amasse quell’ambiente, ne apprezzasse la serietà e il rigore religioso, provasse simpatia e stima per la figura di un sovrano che aveva molto dignitosamente combattuto il regime coloniale italiano fino alla fine della Seconda guerra mondiale. L’avvento al potere di Gheddafi nel 1969 dovette sembrargli una usurpazione; ma quando l’industria paterna venne nazionalizzata, accettò di continuare a dirigerla e di assicurarne il funzionamento, nell’interesse della regione, fino alla seconda metà degli anni Settanta. Tornò in Italia, si dedicò interamente alla letteratura e dette probabilmente a molti dei suoi visitatori l’impressione di considerare il passato libico come un capitolo interamente concluso della sua vita. In tutta la sua narrativa «coloniale», riunita poi nel grande ciclo intitolato I confini dell’ombra (Morcelliana 2006), la storia della Cirenaica dal 1911 al 1964 è sul fondo della scena, evocata dalle vicende dei personaggi. Ma quando gli studiosi avranno accesso alla sua biblioteca constateranno che Spina conosceva bene tutta la letteratura storica sull’argomento e che nascondeva nel suo cuore cirenaico una forte passione politica.

Me ne accorsi quando gli chiesi di scrivere una postfazione al libro di viaggio di Knud Holmboe, uno scrittore danese convertito all’Islam che aveva attraversato il deserto libico nel 1930 mentre il generale Graziani stava brutalmente riconquistando la Cirenaica (Incontro nel deserto, Longanesi, 2005). Lo scrittore proustiano, introspettivo e capace di grandi finezze psicologiche scrisse un vibrante saggio anticolonialista. Era l’altra metà della sua vita, il secondo volto della sua identità.

Sergio Romano