Corriere della Sera – 24 Luglio 2013

Vorrei che il nostro ministro degli Esteri, la signora Emma Bonino, cominciasse a occuparsi dei Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo favorendo una politica di avvicinamento. Sono infatti convinta che il rafforzamento dei rapporti non solo economici con quegli Stati sarebbe utile alla sicurezza e al mantenimento della pace.

Roberta Corti

Cremona

Cara Signora,

La politica estera che lei propone e esattamente quella che l’Italia avreb­be voluto fare all’inizio della storia repubblicana. Qua­si tutte le forze politiche (la maggiore eccezione fu il Partito comunista) si batterono perché l’Italia conservasse le sue colonie o, per lo me­no, l’Eritrea,la Somaliaela Libia. Intutte le sedi interna­zionali i rappresentanti del nostro Paese sostenevano che il colonialismo italiano era diverso da quello delle altre maggiori potenze euro­pee. Le terre conquistate tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento erano destinate ai nostri emigran­ti che le avrebbero rese ferti­li offrendo cosi alle popola­zioni indigene nuove occa­sioni di lavoro e progresso. I diplomatici della Repubbli­ca dichiaravano senza batte­re ciglio che la nostra ammi­nistrazione era stata uma­na, equa, priva di quell’arro­gante senso della superiorità che aveva caratterizzato altri colonialismi. Non era completamento vero, ma non è questa la ragione per cui l’Eritrea fu assegnata all’Etiopia,la Libiadivenne un regno più o meno indi­pendente e l’Italia ebbe sol­tantola Somaliain amministrazione fiduciaria per un periodo di dieci anni. La so­luzione adottata perla Libiafu quella che permetteva al­la Gran Bretagnadi apparire in sintonia con i tempi cre­ando al tempo stesso uno Stato su cui, nelle sue inten­zioni, avrebbe potuto eserci­tare una grande influenza.

Chiuso ormai il capitolo delle colonie, la stessa ver­sione benevola del colonialismo italiano fu usata soprat­tutto dopo il fallimento del­la spedizione anglo-france­se nel Canale di Suez. Favo­riti dalla strategia petrolife­ra di Enrico Mattei, alcuni uomini politici, fra cui Gio­vanni Gronchi e Amintore Fanfani, credettero di pote­re sfruttare l’operazione mi­litare delle due maggiori po­tenze coloniali per accredi­tare l’Italia come il miglior partner dei nuovi Stati sorti della decolonizzazione, l’unico che non avesse am­bizioni imperiali. Questa po­litica non fu priva di qual­che successo e venne perse­guita con inevitabili alti e bassi sino a quando i gover­ni Berlusconi modificarono le vecchie priorità italiane nel Mediterraneo antepo­nendo l’amicizia con Israele a quella con i Paesi arabi.

Un’ eccezione fula Libiacon cui Berlusconi sperò di crea­re, grazie al trattato di Ben­gasi, una sorta di partenaria­to.

Oggi l’Italia deve prepa­rarsi a fare politica estera nella regione e le linee indi­cate nella sua lettera sono certamente fra quelle che vanno perseguite. Non di­mentichi tuttavia, cara Si­gnora, che esistono due condizioni. Occorre anzitut­to denaro perche non è pos­sibile aiutare un Paese emergente senza essere in grado di finanziare i progetti utili al suo sviluppo. Occorrono poi interlocutori nei Paesi arabi che siano in grado di assumere impegni di lungo periodo. In questo momen­to, le due condizioni, pur­troppo, non ci sono.

Sergio Romano