Il Fatto Quotidiano – 13 Giugno 2013

Nel mezzo della cri­si libica il presi­dente del Consi­glio di allora, Sil­vio Berlusconi, fece una ri­chiesta un po’ irrituale ai ser­vizi segreti guidati allora da Gianni De Gennaro: “Non è che potreste far fuori Ghedda­fi?”. Il Fatto Quotidiano lo ap­prende da una fonte diploma­tica autorevole vicina agli am­bienti della sicurezza. E l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) commenta così: “Non veniva­no certo a raccontarlo a me, ma è possibile. Berlusconi era preoccupato di trovarsi lui stesso in difficoltà perché con­siderato troppo vicino al lea­der libico”. Difficile dire se poi ci sia stato un seguito, le cose dei servizi segreti restano, quasi sempre, segrete.

Da quanto si può rico­struire, quello di Berlusconi era un tentativo un po’ naif di risolvere una situazione imba­razzante, visto che nel marzo 2011, quando cominciano i bombardamenti della Nato su Tripoli, i ricordi dei vertici ro­mani (con tanto di tenda nel parco di villa Pamphili) tra il Cavaliere e il Colonnello erano ancora freschissimi. Berlusco­ni ha sempre vissuto con un certo fastidio la fermezza con cui il suo ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è subito schierato nel fronte degli inter­ventisti della Nato. Ma quando le cose sono precipitate ed è di­ventato chiaro che il potere di Gheddafi stava crollando, Ber­lusconi deve aver pensato di ri­solvere la cosa in modo rapido, cercando di riabilitarsi all’ul­timo secondo. L’Italia aveva da poco firmato anche un com­promettente trattato di amici­zia italo-libico che impegnava il governo a investimenti in Libia ela Bancacentrale del Pae­se aveva mandato due dei suoi fondi di investimento in soc­corso di Unicredit. Al di là de­gli affari, però, c’era il rapporto personale, a lungo ostentato, tra Berlusconi e Gheddafi. Avere un ruolo nella sua eli­minazione poteva essere un utile argomento per il Cavalie­re che attraversava già una crisi di legittimità a livello interna­zionale (sopravviverà, politi­camente, meno di un mese alla morte del rais). Ovviamente le cose non sono cosi semplici, i servizi segreti tendono a non agire direttamente, preferisco­no di solito influenzare, indirizzare, procedere “per proxy”, come si dice in gergo, cioè mandare avanti i soggetti che già operano sul territorio (nel caso specifico i ribelli libici).

Che dietro la morte del leader libico, il 20 ottobre 2011, ci possa essere l’attivi­smo di spie occidentali però non è un eccesso di complot­tismo. Negli ultimi giorni un’inchiesta di Le Monde (in­tegrata da Fausto Biloslavo sul Giornale, ha rivelato un possi­bile retroscena di quegli even­ti: l’allora presidente della Francia, Nicolas Sarkozy, ca­pofila dell’intervento della Na­to, era molto preoccupato che emergessero i suoi legami, al­trettanto imbarazzanti, con il regime libico. “Penso che Sar­kozy ha un problema di disor­dine mentale. Ha detto delle cose che possono saltar fuori solo da un pazzo”, disse Ghed­dafi a Biloslavo del Giornale, che ricorda: “Il Colonnello non riusciva a comprendere come l’ex amico francese, che aveva aiutato con un cospicuo finanziamento (forse 50 milio­ni di euro) per conquistare l’E­liseo fosse così deciso a pugna­larlo alle spalle”. Anche Loren­zo Cremonesi, sul Corriere della Sera, ha raccontato a fine 2012 come a Tripoli in tanti soste­nessero che dietro la morte di Gheddafi ci fosse un agente francese. In quei mesi del 2011, complici partite industriali ed economiche (dalle nomine in Bce alla Parmalat al nucleare) i rapporti tra Berlusconi e Sar­kozy erano piuttosto stretti. Chissà se il Cavaliere è poi riu­scito ad avere un ruolo nell’e­liminazione del Colonnello. Probabilmente no, visto che ala morte del dittatore invece che rivendicarne l’eliminazio­ne si limitò a liquidarlo con un semplice: “Sic transit gloria mundi”.

Stefano Feltri