Corriere della Sera – 22 Ottobre 2012

I morti, i feriti, le violenze e le informazioni contraddittorie che giungono nelle ultime ore dalla cittadina di Bani Walid illustrano tragicamente il caos che regna in Libia un anno dopo la morte di Muammar Gheddafi. Ieri pomeriggio il claudicante governo di Tripoli si è trovato a dover smentire le notizie diffuse sabato sera circa la cattura e l’uccisione

da parte delle milizie di Misurata di Khamis Gheddafi, il figlio «pretoriano» per eccellenza dell’ex dittatore, e di Moussa Ibrahim, noto portavoce del regime, specie ai tempi delle battaglie prima della caduta della capitale nelle mani delle brigate rivoluzionarie sostenute dalla Nato il 23 agosto 2011. «Non abbiamo abbastanza prove per confermare queste informazioni», hanno ritrattato dall’ufficio del primo ministro ad interim Mohammed Megarief, il quale ha peraltro ammesso che «il Paese non è ancora del tutto liberato».

Confermati sono invece i bombardamenti su Bani Walid. Mahdi Zeyadi, medico all’ospedale locale, contattato dal Corriere prima che la linea telefonica venisse interrotta, ci ha parlato di «colpi di armi pesanti un po’ dovunque con molte vittime tra i civili» e di «gravi difficoltà» per le strutture sanitarie nel reperire le medicine necessarie. Alle agenzie stampa straniere uno dei capi delle milizie locali, Abdelkarim Ghomaid, ha ribadito che «gli attacchi continuano». Il numero stimato dei morti negli ultimi cinque giorni supera quota 30, una ventina solo nella giornata di sabato.

I feriti sarebbero oltre 200, tra cui tanti bambini. I gruppi legati al clan Gheddafi diffondono da Sirte numerose fotografie di cadaveri sfigurati.

Ma per capire cosa stia avvenendo occorre tornare alle fasi cruciali delle battaglie dell’anno scorso. Bani Walid, circa 70.000 abitanti, posta 140 chilometri a sud di Tripoli, è sempre stata infatti una delle roccaforti più militanti dei Warfallah, tra le tribù importanti del Paese che a larga maggioranza hanno sostenuto i 42 anni della «Jamaharia » voluta dal Colonnello. Sulla cittadina nel settembre-ottobre 2011 si riversò dunque la rabbia vendicatrice delle milizie di Misurata, decise a lavare nel sangue l’offesa dei lunghi e sanguinosi mesi di assedio dei lealisti (tra cui molti abitanti di Bani Walid) quella stessa primavera. Esecuzioni sommarie, saccheggi, incendi a tappeto e vandalismi furono la regola. «Ora siamo battuti. Ma gliela faremo pagare», ci dicevano allora i pochi abitanti rimasti nella città offesa. E così è

stato. Approfittando della debolezza cronica del governo centrale e del permanere delle profonde divisioni tra le

varie milizie rivoluzionarie, a Bani Walid sono tornati a concentrarsi i reduci tra i vecchi fedelissimi dell’ex dittatore. Un mese fa girò persino la voce che tra loro vi fosse anche Khamis, sebbene la sua morte fosse stata data per certa almeno tre volte. L’ultima fu visto bruciare in un convoglio di auto attaccate dai ribelli presso Tarunah, un centinaio di chilometri a nord di Bani Walid il 29 agosto 2011. Allora sembra fosse nell’area anche Moussa Ibrahim, ma più tardi fonti credibili lo davano sano e salvo in Germania assieme alla giovane moglie cittadina tedesca. Ieri Ibrahim ha smentito tramite Facebook il suo arresto: «Siamo fuori dalla Libia. Non abbiamo alcuna relazione con Bani Walid e nessun contatto con essa». Di recente Bani Walid è tornata nel mirino dopo che a metà settembre vi fu torturato a morte Omran Shaban, indicato come il guerrigliero di Misurata che ebbe il merito di individuare per primo Gheddafi, appena

dopo che la Nato aveva bombardato il suo convoglio in fuga da Sirte. Il cerchio delle vendette dunque continua.

Lorenzo Cremonesi