La Repubblica – 14 Ottobre 2012

Ali Zidan, un ex ambasciatore oppositore di Gheddafi che per 30 anni ha vissuto in esilio, è stato designato nuovo primo ministro dal parlamento di Tripoli. Avrà due settimane per provare a formare il suo governo, un compito che la settimana scorsa ha visto fallire il tentativo di un altro deputato, Abu Shagur, che un mese fa era stato eletto premier proprio in un ballottaggio contro Alì Zidan.

Ambasciatore in India per Gheddafi negli Anni Ottanta, Ali Zidan abbandonò il regime e da allora ha vissuto molto in Europa, per anni in Germania dove ha collaborato con la Spd tedesca e anche con il partito socialista italiano. Zidan è stato eletto con 93 voti contro gli 85 ottenuti dall’attuale ministro del Governo locale, Mahammed al Hrari. Il risultato è una conferma della profonda spaccatura che divide la politica libica, nonostante da tutti i paesi che hanno sostenuto la rivoluzione contro Gheddafi (a partire dagli Stati Uniti e dall’Italia) arrivino di continuo inviti a formare un governo di unità nazionale, o perlomeno a costruire un clima di collaborazione istituzionale.

Negli ultimi giorni si era sperato che Ali Zidan potesse essere eletto premier per acclamazione dopo un accordo raggiunto fra i liberali del partito di Mahmoud Jibril (Afn) che lo appoggiano e i diversi gruppi dei Fratelli musulmani che invece hanno sostenuto il ministro Al Hrari (a Tripoli in aula erano presenti 170 membri del parlamento su 200).

Chi lo conosce descrive Ali Zidan come un uomo senza un particolare carisma o una forte preparazione politica,

ma comunque con una decisa legittimazione anti-gheddafiana e con un impegno continuo nel lavoro politico per la democrazia in Libia: quando morirono i suoi genitori, Ali Zidan evitò di rientrare in patria per seguire i funerali, avendo la certezza che il colonnello gli avrebbe preparato un’accoglienza letale, così come ha sempre fatto per oppositori ed ex collaboratori passati a contestarlo.

In queste settimane, dopo l’assalto al consolato americano di Bengasi, la Libia appare come sospesa sull’orlo di una caos politico e militare possibilmente più profondo. Molti si aspettano che i militari americani, dopo aver lavorato con l’intelligence e con la ricognizione dei droni, possano agire per colpire gli autori dell’assassinio dell’ambasciatore Stevens e di altri 3 diplomatici. L’amministrazione Obama, nonostante l’evidente interesse a mettere a segno un colpo militare a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, per il momento ha mostrato di scegliere la via di una indagine accurata, che individui i veri colpevoli dell’assalto, piuttosto che quella che porterebbe aerei e droni Usa a lanciare missili nel deserto o contro basi di “jihadisti libici” non meglio identificati. Ma le pressioni politiche interne su Obama sono forti, e non è escluso che un attacco militare Usa in questi giorni possa destabilizzare ancora di più il quadro interno libico.

Parallelamente l’altra grande crisi politica libica, quella della presenza fuori controllo delle milizie militari in tutto il paese, è a un punto di svolta. La milizia di Zintan ha circondato la città gheddafiana di Bani Walid, dove sarebbero nascosti gli assassini di un giovane rivoluzionario che fra gli altri catturò Muhammar Gheddafi. Da giorni i miliziani di Zintan bombardano Bani Walid anche con missili e razzi; il problema è che la loro operazione sembra essere stata decisa e portata avanti come una vendetta locale o tribale, al di fuori di qualsiasi decisione presa dal governo di Tripoli. Governo che ancora non esiste e che non riesce a costruire una struttura coordinata con coerenza per garantire la sicurezza militare del paese.