La Stampa – 17 Febbraio 2012

Najib l’ho visto uccidere, a Tripoli, il 24 agosto 2011, un uomo innocente. La Rivoluzione non aveva ancora vinto ma lui era già condannato a morire. Uccideva non per Gheddafi. Uccideva per il tumore della vendetta, per i 4 fratelli che gli altri, i vincitori, i rivoluzionari, gli avevano ammazzato. Najib: spaventato dalla sua solitudine, incatenato come tanti

alle terribili felicità che solo può dare il delitto, l’orrore di far soffrire inutilmente.

La storia ha giocato a tanti come lui il tiro di utilizzare la loro passione politica, la loro follia astratta e poi chiedergliene conto e di mandarli a morire dopo averli disonorati. Vittime e in qualche modo colpevoli ingranaggi del cupissimo sfondo di questa guerra sudicia, piena di sottintesi: il petrolio, i conti da regolare, la corruzione, le mene ipocrite dell’Occidente, la malefica potenza di un satrapo. Otto mesi di guerra di lupi e iene notturne. Che lascia una lunga linea nera di uomini come alghe e meduse morte.

Domenico Quirico