La Sicilia – 23 Ottobre 2011

«L’uccisione di Gheddafi non potrà mai risarcirci del male subito». Così Antonio Capodieci, siracusano che ha dato un grande contributo allo sviluppo della Libia, ricorda il dramma dell’espulsione dei tanti italiani a opera del Colonnello. La sua è una storia di un grande impegno e di un grande lavoro a cui ha fatto seguito un’altrettanto grande perdita: quella di affetti e di cospicui possedimenti.

Nato a Siracusa nel 1932, in via Piave 161 che all’epoca, come ricorda con tono nostalgico, si chiamava via Buon Riposo per la vicinanza con un antico cimitero, ha vissuto 35 anni in Libia tra Tripoli e Bengasi. «Ricordo che piante e sementi venivano imbarcate quasi ogni mese da Siracusa e arrivavano a Tripoli dove c’era mio padre ad attenderle. L’azienda si espanse in poco tempo e trasformammo uno scatolone di sabbia in terreni ad alta produttività. A Tripoli ho frequentato la scuola elementare e le medie per poi proseguire gli studi in un istituto per geometri».

Dopo gli studi, per Capodieci, arrivò il momento di inserirsi nel mondo del lavoro. Arrivarono le prime commesse

importanti per il giovane imprenditore edile aretuseo: «A Bengasi ho costruito un villaggio e un ospedale militare, ho restaurato un albergo e ho costruito la regia di Saied Abdalla El Senussi, cugino dell’allora re, ho fondato la città nuova di El Beida quando avevo soltanto 21 anni».

E poi l’incontro con Gheddafi quando era ancora sergente: «Ho conosciuto Gheddafi a Barce, io gestivo un grosso cantiere per la realizzazione di 90 palazzine. Venne in cantiere e mi chiese in prestito un escavatore, io glielo diedi e gli misi a disposizione un operaio italiano, dopo 10 giorni andai a riprendermi il mezzo e gli chiesi in prestito una gru che avevano in caserma. Allora mi sembrò una persona disponibile e ragionevole».

Impossibile, ovviamente, che dal baule dei ricordi non affiori il drammatico episodio dell’espulsione: «Con la presa di potere di Gheddafi abbiamo perso tutto. Io presi l’ultima nave che lasciava la Libia il 12 ottobre del 1970, unica cosa che portai con me, nascondendoli, furono mille sterline prelevate in banca il giorno prima, ma il resto dei soldi e tutte le proprietà ci vennero espropriate. Mia madre tornò alcuni mesi dopo in aereo con mio fratello e venne persino privata degli effetti personali; per non dire poi degli amici uccisi per mano di Gheddafi».

Tornerebbe oggi in Libia?

«Quando andai via giurai che fin quando quel folle sanguinario sarebbe rimasto al suo posto non avrei più messo piede in Libia, ma ora tornerei con piacere. La morte di Gheddafi, per quanto atroce sia stata, è nulla in confronto al male che da lui abbiamo subito».