Il Sole 24Ore – 1 Maggio 2011

«Con l’Italia ormai è guerra aperta»: senza giri di parole Muammar Gheddafi ha parlato della possibilità di trasferire il conflitto nella penisola dopo che nella notte tra venerdì e sabato si era detto disponibile a negoziare un cessate il fuoco con la Nato. Ancora non sapeva che un raid dell’Alleanza nella tarda serata di ieri avrebbe ucciso a Tripoli il figlio più giovane Saif al-Arab, 29 anni, e tre suoi nipoti. Il raìs, nello stesso edificio, è miracolosamente uscito illeso dall’attacco sferrato con tre missili. Notizie confermate da un portavoce del governo. 
Un’escalation drammatica improvvisa, dopo l’arma della retorica sfoggiata dal Colonnello nel pomeriggio: acrimoniosa ma non del tutto ingiustificata la reprimenda contro l’ex potenza coloniale, «l’amico Berlusconi» e un trattato d’amicizia rimasto soltanto sulla carta. Ma questo è il raìs che ci siamo meritati noi e tutto l’Occidente, con il beneplacito degli americani, trasformando in fretta un abile manovratore di trame terroristiche in partner d’affari delle nostre imprese e in una sorta di poliziotto del Nordafrica. Sono errori di valutazione che si pagano. 
Abbiamo così un nuovo nemico, che soltanto otto mesi fa sbarcava a Roma gonfio di medaglie pittoresche e contratti miliardari. E, puntuale, è arrivata la reazione della Lega: «Era quello che temevamo. Sono dichiarazioni da non sottovalutare, temiamo delle ripercussioni perché Gheddafi non ci vede solo come nemici ma anche come traditori», ha detto il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. 
Il raìs non è molto credibile nelle sue offerte di tregua, respinte sia dall’Alleanza atlantica («Servono fatti e non parole») che dai ribelli di Bengasi. Ci sono buoni motivi per non dargli fiducia: in questa guerra, come in passato, ha mentito spudoratamente, facendo esattamente il contrario di quanto affermava. Una settimana fa aveva proclamato il ritiro da Misurata per lasciare, a suo dire, il campo libero alle tribù lealiste, poi ha stretto d’assedio la città nel tentativo di riconquistarla. Si è limitato a togliere la divisa verde oliva ai soldati: una trappola in cui sono caduti gli aerei della Nato che hanno falciato una dozzina di insorti. Un fuoco amico che miete vittime ma di cui malvolentieri si parla perché i ribelli sono disposti a pagare qualunque prezzo. Così come si discute assai poco delle dimensioni reali di questo conflitto: fonti varie, arabe e occidentali, parlano di 10mila o 30mila morti. Non si vedono però né le immagini né le prove di un simile massacro. 
Anche noi, pur non volendo dare alcuna fiducia al qaid libico, dovremmo farci qualche domanda, soprattutto dopo la tormentata decisione italiana di partecipare ai bombardamenti. In primo luogo sull’obiettivo reale di questa guerra. Se intendiamo farlo fuori, i raid potrebbero non bastare. A meno di un colpo di fortuna, come quello che per un soffio non è andato a segno ieri, cioè un missile che fa secco il Colonnello in uno dei suoi bunker. Altrimenti la Nato dovrà prendere in considerazione operazioni di terra non previste dall’Onu. Tutti, compreso il bellicoso Sarkozy, negano di volere questa soluzione. 
La seconda opzione è continuare nella guerra di logoramento. In questo caso bisognerà armare i ribelli creando una forza d’urto per mettere Gheddafi spalle al muro e controllare il Paese senza scivolare nell’anarchia. Il Colonnello, per il momento, non può dirsi troppo preoccupato dall’armata degli insorti che a Est è inchiodata ad Ajdabiya, a 160 chilometri da Bengasi, e non sta tentando neppure, per motivi tattici, di riconquistare i terminali petroliferi. La valorosa ma disorganizzata guerriglia di Bengasi è incapace di cogliere obiettivi militari importanti e, soprattutto, di mantenerli. 
La terza alternativa, nella speranza di ottenere risultati immediati, è dotare i ribelli dei fondi necessari per comprare il consenso delle tribù ancora fedeli promettendo loro di spartire le ricchezze petrolifere custodite in Cirenaica. Questo potrebbe essere uno degli argomenti di cui si parlerà alla conferenza sulla Libia che si terrà a Roma il 5 maggio. 
In ogni caso le sabbie libiche hanno già inceppato i piani francesi, britannici e americani. È per questo che hanno così ben accolto la partecipazione italiana ai raid: si dividono un po’ di spese di guerra e di responsabilità. Non sarà complicato ricompensarci con quote di petrolio libico. Sarebbe però alquanto sconveniente che la Nato fosse costretta ad accordarsi per una tregua che sancirebbe la divisione in due della Libia. Ma questa potrebbe essere la soluzione transitoria, per rinviare a una seconda fase l’eliminazione del raìs. 
Tutti questi ragionamenti sono comunque destinati a saltare in caso di altri eventi drammatici in Nordafrica e Medio Oriente, dove una mezza dozzina di Paesi arabi sono in ebollizione. Non è quindi indifferente che l’operazione libica finisca presto: l’imprevedibile Gheddafi, per nostra insipienza o per le disgrazie altrui, potrebbe restare ancora in sella.

Alberto Negri