Secolo d’Italia – 26 Febbraio 2011

Certi eventi della vita lasciano ferite profonde ma danno anche la possibilità di guardare la storia da una pro­spettiva privilegiata. Quando osserva i fatti di Tripoli, Gio­vanna Ortu, presidente dell’Airl, l’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia , vive una situazione simile. I 20 mila italiani che, nel luglio 1970, furono espulsi dal Paese in cui risiedevano da un Gheddafi appena salito al potere, co­noscono bene ciò che accade di là dal Mediterraneo, per ché lì hanno lasciato un pezzo di cuore.

Signora Ortu, ha visto che caos in Libia?

La avverto che non credo di essere la persona più obietti va del mondo su questo tema. Sa, ho il dente avvelenato …

Fa niente, è proprio la sua passione che ci inte­ressa. Allora, è stata sorpresa dalla rapida escala­tion della crisi libica?

No, non mi ha sorpreso. Solo qualche giorno fa delle per­sone di ritorno dalla Libia mi avevano detto: Tira un’aria strana lì …

Posso chiederle chi erano?

Due esponenti della nostra associazione. Tornavano dalla Libia dove erano stati nell’ambito della nostra operazione di restauro dei cimiteri italiani. Molti erano in condizioni penose. Quelli che non sono stati profanati, ovviamente. È un operazione a cui teniamo particolarmente e in tutto ciò la Farnesina e Gianfranco Fini, quando era ministro de­gli Esteri, ci hanno aiutato molto.

E queste persone le hanno antici­pato che qualcosa stava cambiando?

In generale sì, anche se era inimmaginabi­le quello che poi è effettivamente successo.

Che idea si è fatta di questa rivolta?

Le notizie che giungono da lì mi addolora­no molto. Una fonte autorevole mi ha detto che ci sarebbero sparatorie sui civili, con membri delle milizie che sparano dalle am­bulanze. Non so se è vero, ma la fonte è piuttosto sicura. Spero comunque che que­sto anelito di libertà trovi sbocco nella fine di un uomo che ci ha fatto molto soffrire.

Un uomo che però sembra va essere divenuto il miglior amico dell’Italia, ultimamente …

Qualche giorno fa ho letto un’intervista a Dini e diceva, più o meno: con lui ci siamo trovati bene. perché cambiare? Sono inorridita. Gheddafi ci ha cacciato a pedate nel sedere!

Realpolitik, dicono …

Ma guardi che io lo capisco. Noi ci siamo sacrificati, in onore della Realpolitik. Eravamo 20 mila, non poteva ma condizionare 58 milioni di persone. Ma da subito si è presa una china come su di un piano inclinato che poi è divenuta valanga. Va bene tutelare gli interessi, ma bisognerebbe trovare un giusto mezzo. Prenda Berlu­sconi…

Un grande amico del Colonnello …

Mi ha fatto rimanere molto male. Insomma. lui è anche il mio presidente del Consiglio. Eppure fino ad ora non ci ha mai ricevuto.

Intanto impazza il dibattito sul “che fare” rispetto all’emergenza …

È un dibattito sballato, sta prevalendo il calcolo utilita­ristico mentre di là c’è la guerra civile. Dovrebbe pre­valere il cuore e l’autentica solidarietà. Bisognerebbe predisporsi all’accoglienza rispetto a un’emergenza che non può che essere transitoria.

I rapporti fra i due popoli usciranno compro­messi dalla crisi?

Al contrario, saranno rafforzati…

Ma quanto c’è di autentico nella retorica anti-italiana che per anni ha diffuso Gheddafi?

Guardi, i libici ci amano. Anche quando ci hanno cac­ciato, con la voce del Colonnello che dagli altoparlanti inneggiava alla caccia all’italiano, non ci hanno torto un capello”.

La ferita del colonialismo è ancora viva?

Ci sono sicuramente state pagine vergo­gnose nella nostra colonizzazione. Ma di questo non devo rispondere io, che parlo a nome di una collettività umana che ha vissuto in armonia con la popolazione lo­cale ed è stata cacciata violando un trat­tato. E comunque non si può giudicare col senno del poi. Anche perché bisogne­rebbe parlare pure del buono che abbia­mo fatto. Basti pensare all’architettura razionalista di Tripoli.

E ora?

Diventeremo fratelli, perché loro per Gheddafi hanno sofferto più di noi e ora pagheranno un prezzo altissimo…

Federico Locchi