Il Giornale – 14 Settembre 2010

Una motovedetta libica (ma regalata dall’Italia) che spara all’impazzata contro pescatori italiani. E sei uomini della Guardia di Finanza, italiani ovviamente, a bordo di quella motovedetta, che sceglie come bersaglio il peschereccio italiano. Drammatico e surreale. Perché oltre alla beffa c’è di più, ammettiamolo. Dunque vediamo di capirci: Amiconi o burloni i nostri vicini di casa libici? Qualcosa non torna. Il fatto non proprio irrilevante e, a dire il vero nemmeno troppo divertente, è accaduto, avant’ieri sera, nel Golfo della Sirte, dove un peschereccio della flotta di Mazara del Vallo è stato mitragliato da una motovedetta libica. All’origine della sgradevole vicenda, i soliti millimetri che, tra un onda e l’altra, vengono interpretati, a seconda di chi li interpreta come acque territoriali o extraterritoriali. Solo che un conto è scambiarsi i saluti e mandarsi a quel paese reciprocamente, e un conto è, citiamo testualmente le parole dell’equipaggio del peschereccio «Ariete», ancora sotto choc, «sparavano per uccidere». Questo avrebbero fatto i nostri «amici» libici. 
I colpi hanno infatti forato una fiancata del motopesca d’altura di 32 metri e un gommone utilizzato come tender. Il peschereccio, guidato dal capitano Gaspare Marrone, che è riuscito ad evitare l’abbordaggio e allontanarsi. ha proseguito la navigazione verso il porto di Lampedusa, dove è giunto nella mattinata di ieri.
Ma c’è di più, appunto, e quel qualcosa in più suscita ben altri interrogativi. Secondo il capitano Marrone, l’unità della marina libica che ha aperto il fuoco potrebbe infatti essere una delle imbarcazioni regalate (sei in tutto) dall’Italia alla Libia, nell’ambito dell’accordo per il contrasto all’immigrazione clandestina. Così infatti il comandante dell’Ariete si è espresso quando ha ricostruito l’episodio nella Capitaneria di Porto. «Era una motovedetta molto nuova, e questo mi fa pensare che possa essere una di quelle donate dall’Italia alla Libia per il servizio di respingimento. Inoltre ho il dubbio che vi potesse essere un italiano a bordo di quella motovedetta perché l’intimazione a fermarsi ci è arrivata da un uomo che parlava con un accento italiano impeccabile. Ci ha urlato: «Fermatevi o questi vi sparano» . Che motivo aveva di dire “questi?”. Avrebbe detto piuttosto “fermi o vi spariamo”. E poi con quell’accento più italiano del mio. Ripeto, la motovedetta era di costruzione recente e non aveva armi pesanti. Ma a bordo era stata piazzata una mitragliatrice Mg e con quella ci hanno sparato addosso. Siamo vivi per miracolo perché i libici hanno sparato all’impazzata e solo per un caso non hanno provocato l’esplosione di alcune bombole di gas che avevamo a bordo». In altre parole, che sono anche le parole di un altro componente dell’equipaggio, Alessandro Novara («L’unità militare che ci ha mitragliato era identica a quelle utilizzate in Italia dalla Guardia di Finanza, anche se batteva bandiera libica») c’è la fondata ipotesi che quei colpi siano partiti da uno dei nostri regali al colonnello e c’è anche la certezza visto che il Comando generale lo ha confermato ieri in serata, che a bordo di quel regalo, cioè di quella motovedetta, ci fossero sei militari delle Fiamme gialle, tra quelli distaccati a seguire da vicino, con compiti di addestramento e osservazione, i colleghi libici. Da anni le autorità libiche rivendicano la loro giurisdizione sul Golfo della Sirte, sequestrando (gli ultimi episodi risalgono a Giugno) le imbarcazioni mazaresi sorprese a pescare in quel tratto di mare. Ma il capitano assicura che l’Ariete, al momento del tentativo di abbordaggio, stava navigando e non era impegnato in una battuta: «Non avevano nessun diritto di fermarci». Per chiarire i dubbi la posizione dell’imbarcazione italiana sarà comunque controllata mediante i dati Gps forniti dal blue box, una sorta di scatola nera in dotazione alle imbarcazioni. Il Viminale e la Farnesina hanno aperto un’inchiesta. Nel frattempo il comandante della Guardia costiera libica ha espresso le sue scuse alle autorità italiane per l’accaduto.

 

Gabriele Villa