La Repubblica – 14 Settembre 2010

«Della più grande marineria del Mediterraneo ci è rimasto solo il nome. Qui si gioca con il nostro pane e la nostra pelle e gli armatori non sono più in grado di assicurarci neanche il minimo garantito, ma non da ora. Sono anni che ci sparano addosso e non gliene frega niente a nessuno». Lo sfogo di un marinaio in cerca di imbarco nel porto di Mazara suscita applausi e insulti all´indirizzo di quelle che quaggiù chiamano solo le «autorità». 
La notizia dell´agguato al motopesca «Ariete» rimbalza tra la gente di mare che alterna rabbia a rassegnazione. «Niente di nuovo sotto il sole – dice Vito Giacalone, armatore di una delle famiglie storiche di Mazara, proprietario di tre pescherecci – questa incredibile situazione si trascina da anni, ma è peggiorata da quando unilateralmente i libici hanno deciso di dichiarare di propria competenza le acque fino a 74 miglia dalla costa, e non 12 miglia come prevede il diritto internazionale. Ma quelli sono i nostri mari, la vita nostra e delle nostre famiglie, lì abbiamo sempre pescato e continueremo a pescare nonostante i sequestri, gli inseguimenti, le sparatorie. I libici non vogliono sentire, e ai nostri governanti a quanto pare non interessa più di tanto. E meno male che Gheddafi è appena venuto in Italia e che tutti sbandierano gli ottimi rapporti con la Libia. La verità è che ci sono interessi economici e affari ben più importanti del nostro pane, della convivenza civile, della pace nel Mediterraneo». 
Il pane e la vita. Solo questi due sostantivi e l´universo che ci gira attorno interessa ad armatori e marinai di Mazara del Vallo e alle migliaia di nordafricani stabilitisi qui da anni. Cinquecento euro per trenta giorni di pesca nel mammellone, è questo il salario minimo garantito che gli armatori riescono con difficoltà ad assicurare agli equipaggi perché – spiega uno di loro – «per fare uscire un peschereccio in mare oggi ci vogliono almeno 50mila euro e quindi non ci possiamo permettere né di stare poco in mare, né di non andare a pescare almeno a 30 miglia dalla costa, né tantomeno di fermarci». 
Quattrocento pescherecci, un volume d´affari di 450 milioni di euro all´anno, 30 mila tonnellate di pescato, 7000 occupati compreso l´indotto. Questi i numeri che fanno di Mazara il primo distretto della pesca in Italia. Numeri che non si sono mai sposati con i più recenti trattati italo-libici (nel 2007 quello firmato dal governo Prodi, nel 2009 quello di Berlusconi) che hanno cercato di rinnovare gli accordi in tema di immigrazione e di pesca. A Mazara si fa il conto solo degli ultimi pescherecci sequestrati nel 2010 e delle multe salatissime che gli armatori sono stati costretti a pagare: l´Alibut, il Marine 10, il «Vincenza Giacalone», sequestrati il 10 giugno e rilasciati dopo tre giorni e l´intervento personale di Berlusconi. 
Dice Giovanni Tumbiolo, presidente del distretto produttivo della pesca: «É arrivato il momento di mettere fine ad una vicenda ormai annosa e, cioè, quella dell´estensione unilaterale da parte della Libia delle proprie acque territoriali ben oltre le 12 miglia . Bisogna trovare un accordo economico-scientifico e produttivo con le autorità libiche. Bisogna dare seguito concreto al trattato italo-libico firmato nel 2008». 
Il sindaco Nicola Cristaldi non nasconde la sua preoccupazione: «Siamo molto amareggiati per la gravissima aggressione perpetrata da parte di unità navali libiche nei confronti del peschereccio Ariete. Questo episodio vanifica il grande lavoro fatto a Mazara del Vallo e fa risvegliare dal letargo gli scettici della multiculturalità e multi etnicità. Il governo libico dovrà rendere conto di questa gravissima azione». 
La gente di Mazara è esasperata: i giovani che scelgono ancora di andare per mare lo fanno per fame e disperazione e soprattutto lo fanno con paura. «Nella disgrazia anche oggi non è successo niente – dice un pescatore, Salvatore Limuli – ma sappiamo tutti ogni giorno che potrebbe succedere ad uno di noi. Quelli sparano per affondare e uccidere».

Francesco Viviano