Il Fatto Quotidiano – 26 Giugno 2010

ubblichiamo un estratto dell’intervista al magistrato Rosario Priore – che della strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti) si è occupato in una lunga inchiesta – contenuta nel libro Intrigo internazionale, edito da Chiarelettere .

“C’era un groviglio di verità “indicibili” che nascevano dalla nostra politica mediterranea, in particolare verso la Libia , e dall’irritazione che quella politica provocava nei nostri alleati europei. Se quelle verità fossero venute pubblicamente a galla, non sarebbero rimaste prive di conseguenze”, così risponde Rosario Priore (il giudice che su Ustica ha emesso una sentenza-ordinanza nel 1999: DC-9 abbattuto da un missile) alla madre di tutte le domande: quale verità non si poteva far conoscere all’opinione pubblica.

Dunque ci fu un episodio di guerra aerea: l’obiettivo degli attaccanti non poteva che essere libico. e di un certo rilievo?

Ovviamente sì. E quanto più alto fosse stato il rango dell’obiettivo, tanto più sarebbe stato di rilievo il successo dell’operazione. L’attacco militare nel cielo di Ustica era diretto contro un aereo che si sapeva sarebbe passato proprio di lì.

E perché lo si sapeva?

Perché succedeva sistematicamente. E non doveva succedere. Perché il sistema Nadge, la rete radar che proteggeva i paesi europei dell’ Alleanza atlantica, dalla Norvegia alla Turchia, nel tratto italiano aveva dei “buchi”. Cioè passaggi o aree non coperti dai radar del Nadge. E quei corridoi erano noti ai libici, che potevano utilizzarli per il passaggio dei loro aerei militari pur non potendo lo fare, perché aerei miliari di un paese non Nato. Se fossero stati individuati, il sistema li avrebbe automaticamente definiti nemici da abbattere.

E come facevano, i libici, a conoscere quei “buchi”?

Nel linguaggio dei servizi, si di­rebbe che c’erano state delle “perdite”. Insomma, qualcuno, in Italia, si era “perso” quei varchi della difesa radar atlantica, i libici li avevano “trovati” ed erano venuti a conoscenza delle vie non protette di pene­trazione in Europa. In quel periodo, tra l’altro, molti ex ufficiali dell’Aeronautica italiana erano andati in congedo e avevano messo a disposizione dei libici tutte le loro cognizioni tecniche e tutta la loro esperienza.

Quindi i libici utilizzavano sistematicamente quei corridoi. E a quale scopo?

Sia a scopo civile sia a scopo militare, per arrivare fino al cuore dell’Europa. E succedeva perché i libici avevano un rapporto privilegiato con l’Italia. Sì, i loro aerei si recavano spesso in Jugoslavia per riparazioni, a Banja Luka. Oppure a Venezia, dove noi fornivamo all’Aviazione libica tutta l’assistenza di cui aveva bisogno. Pensi che in quello stesso mese di giugno 1980, poco prima dell’esplosione su Ustica, nelle officine di Venezia Tessera, accanto agli aerei ufficiali del presidente statunitense e di quello francese, lì per un summit internazionale, c’erano anche dei C-130 libici: aerei da trasporto che, in barba a ogni embargo, noi militarizzavamo trasformandoli in mezzi da trasporto per paracadutisti.

È comprensibile che aerei militari libici utilizzassero dei corridoi “discreti”. Ma quelli civili, perché?

Perché a bordo spesso c’erano personaggi di primo piano, a rischio o in missioni segrete. Arafat, per esempio, si diceva che viaggiasse spesso su aerei libici passando per i nostri corridoi. Insomma, si trattava di perso­naggi che avevano bisogno di viaggiare in sicurezza e ai quali noi in qualche modo garantivamo protezione.

Anche Gheddafi?

Sì, anche Gheddafi. Secondo una fondata ipotesi, emersa già nel corso della nostra inchiesta e rafforzatasi in seguito, sembra che il bersaglio fosse proprio un aereo su cui viaggiava Gheddafi. Nei piani di volo conservati presso la nostra Aeronautica, quella sera era previsto un volo con vip a bordo da Tripoli a Varsavia.

L’aereo che viaggiava sotto la pancia del nostro DC-9 po­teva essere quello di Ghed­dafi?

Secondo ragionevoli ipotesi, potevano essere uno o più caccia militari libici che tornavano dalla Jugoslavia utilizzando un corridoio senza la copertura del Nadge. Secondo ipotesi più recenti, quei caccia dovevano prelevare il leader libico sul Tirreno e scortarlo in un viaggio nell’Europa dell’Est. Ma, avvertito da qualcuno dell’imminente pericolo, all’altezza di Malta l’aereo avrebbe improvvisamente cambiato rotta per tornare in Libia.

Dunque i caccia libici provenienti da nord volavano sot­to la protezione del DC-9 per andare a prelevare Gheddafi che stava arrivando da sud?

Questa è la situazione più probabile. Ed è del tutto evidente che chi avesse voluto attaccare Gheddafi avrebbe dovuto prima abbattere le sue scorte.

In definitiva i caccia libici vennero abbattuti, mentre Gheddafi si salvò perché avvertito del pericolo. Chi lo avvisò? Gli italiani?

È del tutto verosimile, visti i rapporti privilegiati tra l’Italia e la Libia. Il capo dei servizi segreti libici era di casa a Roma e nel Sismi (il nostro servizio segreto militare dell’epoca).

C’era una forte cordata filoaraba e una filolibica, omologhe a quelle che esistevano all’interno dei governi della Repubblica e, più in generale, nella classe politica italiana.

Chi voleva uccidere Gheddafi?

Di recente, a inchiesta giudiziaria ormai conclusa, dopo che le sentenze di assoluzione dei generali erano ormai divenute definitive, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che all’epoca era presidente del Consiglio, ha detto qualcosa in proposito. Riferendo informazioni provenienti dall’interno dei nostri servizi, ha parlato esplicitamente di una responsabilità francese.

La ritiene un’ipotesi attendibile?

Sì, la ritengo attendibile. Però procederei per gradi, segue­do l’evoluzione dell’inchiesta. In primo luogo perché, da un punto di vista tecnico, a quel tempo e nel Mediterraneo, solo due paesi erano in grado di compiere un’operazione militare di quel tipo: gli Stati Uniti e la Francia. Perché occorreva un sistema di guida dei caccia capace di indirizzarli verso l’obiettivo in qualsiasi condizione. Insomma un “guida caccia” estremamente sofisticato. E poi era necessario avere basi a terra o su portaerei a una giusta distanza dal punto d’attacco. La Francia aveva portaerei nel Tirreno e basi a terra in Corsica. Gli Stati Uniti avevano la Sesta flotta dotata di portaerei, oltre alle basi in territorio italiano. Entrambi i paesi, dunque, avevano anche propri sistemi radar.

Quindi chi attaccò: Francia, Stati Uniti o entrambi?

Tenderei a escludere responsabilità dell’Amministrazione americana dell’epoca. Primo perché c’era Jimmy Carter, che manteneva rapporti con la Libia ; addirittura la riforniva di armi. Secondo, perché gli americani ci aiutarono nell’inchiesta più degli italiani.

Giovanni Fasanella