Italiani d’Africa – 1 Maggio 2010

*Nel giorno della nomina del commissario Annamaria Cancellieri a Ministro dell’Interno, riproponiamo l’articolo pubblicato su Italiani d’Africa nel luglio del 2010

Amabile, se è possibile ancor più della sua sorridente segretaria che così si chiama. Questa è la prima impressione all’apparire del nostro “personaggio” Annamaria Cancellieri, donna dal piglio deciso e dalla luminosa carriera, tornata in pista, subito dopo essere andata “a riposo”, nel ruolo prestigioso di Commissario del Comune di Bologna a seguito delle dimissioni del sindaco Flavio Delbono.

Prima di incontrarla ho il tempo di leggere sul Resto del Carlino del 6 maggio la sua battaglia del giorno: è contro i graffiti che imbrattano la città. Dice il Commissario: “Puliremo tutti i palazzi di proprietà comunale”, un’affermazione accompagnata dal fermo invito rivolto a tutti i proprietari privati a seguire questo “esempio” dando “segnali immediati e concreti perché Bologna è bellissima”

È un amore ricambiato quello del Commissario Cancellieri per la Città. Insediatasi nel febbraio scorso ha subito conquistato i bolognesi riuscendo a sbloccare tanti progetti primo fra tutti quello del metrò che sarà finanziato a piccole rate così da non deprimere gli investimenti necessari a far vivere il capoluogo emiliano.

Del suo mandato, che durerà fino alle prossime elezioni fissate presumibilmente nella primavera del 2011 Annamaria Cancellieri lascerà certamente il segno, dando un’ulteriore prova della sua esperienza nell’affrontare i problemi in concreto e delle sue spiccate capacità di mediazione.

Ma lei ed io oggi dobbiamo parlare di altre cose, certo più nostalgiche perché vecchie di quarant’anni; sicuramente più allegre perché si rifanno al tempo della nostra gioventù, comunque venate di tristezza e commozione. Così lei ricorda l’incontro all’aeroporto di Fiumicino con suo padre nel settembre del ’70: “un uomo distrutto, improvvisamente invecchiato, quasi malato di dolore e incredulità per aver perso ogni suo avere”.

In quel periodo Annamaria, dopo la laurea alla Sapienza di Roma col massimo dei voti, aveva già dato avvio alla sua attività lavorativa, al contrario di tante “signorine bene” (me compresa) impegnate a costruirsi un futuro un po’ limitato di madri di famiglia e di perfette casalinghe.

Dopo pochi minuti di conversazione ci sentiamo amiche di vecchia data anche se non ricordiamo di esserci mai incontrate a Tripoli. Forse i quattro anni che ci separano – io sono più grande di Lei – hanno fatto sì che io fossi già adolescente quando lei era ancora una bambina ma quanti ricordi in comune di cose, case e persone; basti pensare che suo padre, l’Ingegner Virgilio, e mia madre sono stati così amici da ragazzini che mia mamma ha sempre ricordato il suo coetaneo come un ragazzo golosissimo, soprattutto di cioccolata. Io, lo confesso, sono un po’ intimidita dal suo ruolo e un po’ incredula della facilità con la quale si muove in ufficio e fuori senza scorta, senza autista, accompagnata solo dalla spontaneità del suo sorriso e dalla garbata semplicità dei suoi modi. Non è un caso che prima di me avesse ricevuto una famiglia di immigrati con due deliziosi piccoli bimbi del Gabon che attendono dal Commissario un aiuto per la sistemazione del loro papà ed intanto girano felici per l’anticamera gratificando anche me di baci e sorrisi.

Per Annamaria che, insieme a fratelli e sorelle ha sempre frequentato le scuole a Roma, il ricordo di Tripoli è ancor più bello perché legato alle lunghe estati di vacanza, alle estenuanti nuotate in quel mare bellissimo, alle gite a Leptis Magna e Sabratha, alle serate danzanti sulla terrazza dell’Uaddan al ritmo delle canzoni dal vivo di un Peppino di Capri giovanissimo e già famoso.

E in quelle estati tripoline, complice il mare, il sole e la musica Annamaria ha pure trovato l’amore. Da allora Le è accanto il marito Nuccio Peluso (Zezè per gli amici) padre dei suoi due figli Piergiorgio e Federico nati in Italia ma che sono ansiosi di poter finalmente conoscere davvero, al di la dei racconti di papà e mamma, il paese dei loro genitori, dei loro nonni e del bisnonno che era giunto a Tripoli nel 1911 con una moglie preoccupatissima di riuscire ad assicurare al figlio Virgilio, apparentemente gracile, le condizioni igieniche che considerava indispensabili: ma fu proprio giocando tra la sabbia con i coetanei indigeni e divorando, da goloso qual era, i datteri impolverati che il ragazzino si fortificò: e la mamma si arrese!

Annamaria ancora adesso ha amici tripolini quasi in ogni città dove ha vissuto e lavorato, amici che seguita a frequentare regolarmente: a Siracusa e Catania dove vivono i cugini Franca e Antonio Peluso, a Roma dove vive la sorella Caterina (Nellina) che ha per marito un non “tripolino” che immagino sia felicemente rassegnato ad essere entrato a far parte della schiera dei rimpatriati,il fratello Franco che a Tripoli ha lavorato a lungo anche dopo il 1970, la sorella Luciana (Lilli) che ha sposato Kevork (Giorgio) Devruscian, tripolino d.o.c. perché nato e vissuto a Tripoli sino alla guerra dei cinque giorni e alla nascita della figlia Carlotta nel 1967.

Ognuno di loro ha nei confronti della Libia sentimenti diversi. Annamaria sogna fortemente di tornare a rivedere quel Paese soprattutto per mostrarlo ai figli e per rivivere con il marito emozioni e ricordi intensissimi. Il cognato Giorgio non ne vuole più sentire parlare,forse perché l’ha amata troppo e ne ha sofferto troppo. Nellina è agnostica, ma ci tornerebbe volentieri con i figli. Franco è l’unico ad aver mantenuto i contatti e va e torna da Tripoli con frequenza,ama tanto quella città che, se potesse, ci vivrebbe volentieri. Ma ho la sensazione che un nutrito gruppo della famiglia Cancellieri, giovani e meno giovani, farà un “viaggio della memoria” appena possibile; appena Annamaria riuscirà a ritagliarsi uno spazio negli impegni connessi al suo ruolo che svolge con tanta passione; il giorno stesso del nostro incontro è partita per Roma per partecipare all’incontro che il Capo dello Stato ha riservato alle vittime del terrorismo. Mentre scrivo, ho appena letto della decisione del Commissario Cancellieri di dare un senso diverso alla cerimonia per l’anniversario della strage alla stazione di Bologna. Ad evitare dolorose e inaccettabili contestazioni questa volta, dopo trent’anni, non più politici sul palco, ma solo il rappresentante dei familiari delle vittime ancora in attesa che venga sollevato il velo sul segreto di stato decisivo per arrivare finalmente alla verità. Il Commissario naturalmente sarà presente ma ha deciso di non prendere la parola.

“La politica che tace: comunque la si voglia leggere un evento raro” chiosa Francesco Alberti autore dell’articolo. E noi aggiungiamo “chi lavora non chiacchera”.

Mentre questo giornale va in macchina i sondaggi riferiscono dell’autentico entusiasmo con il quale sempre più bolognesi, sia di destra che di sinistra, accoglierebbero la nomina della Cancellieri a candidato sindaco nelle prossime elezioni: “ci si aspettava un burocrate tiranno e invece spunta Annamaria Cancellieri: un fenomeno patriarcale!” scrive l’Espresso. Se si votasse oggi il commissario-candidato “vincerebbe di volata” leggo su Il Venerdì di Repubblica. L’unica titubante, se non contraria, è finora la “candidata” pur dopo gli apprezzamenti bipartisan da Prodi a Fini passando per Lucio Dalla. Annamaria ha fatto sapere che di “appartenere ad una schiatta incoercibile: quella al di sopra delle parti che, lontani dai riflettori sono la spina dorsale dello Stato”.

Ma noi tutti suoi “colleghi rimpatriati” come pressante e accorata sollecitazione ad Annamaria vorremmo dirle di fare violenza al suo legittimo credo per dimostrare al Paese quanto possa fare una persona capace, onesta e credibile non solo per il bene di una città, ma soprattutto come esempio di “meritocrazia”.

 

 

Giovanna Ortu