Il Corriere della Sera – 18 Novembre 2009

Un paio di domande su donne e potere. La prima: perché una ragazza non avvenente o di statura inferiore al metro e 70 deve essere esclusa, e solo a causa di queste presunte «manchevolezze» fisiche, dagli insegnamenti religiosi impartiti dal colonnello Gheddafi nel suo tour romano? La seconda: si ha per caso notizia di qualche petizione, di qualche protesta, di qualche indignata considerazione che voglia stigmatizzare questa palese offesa alla dignità delle donne, ragazze come gingilli da esibire al cospetto del satrapo in visita ufficiale?

Le prescrizioni di Gheddafi sono state molto precise . I suoi collaboratori dovevano contattare circa duecento ragazze attraverso un sito specializzato per il reperimento di hostess da retribuire con una sessantina di euro (tra l’altro: non esiste un sindacato delle hostess?). Il canone fissato prevedeva che le ragazze fossero di bell’aspetto, possibilmente bionde. Che dal metro e sessantanove centimetri in giù di statura sarebbe scattato implacabile l’ostracismo. Che fossero vestite di nero, vietate minigonne e scollature, il tacco di almeno sette centimetri, e la taglia, inderogabilmente, 42. Solo a queste condizioni le ragazze sarebbero state meritevoli delle lezioni di Gheddafi sul Corano e sensibili alle istruzioni del Libretto Verde, distribuito come cadeaux dopo un paio di notti di infervorate diatribe religiose innaffiate, raccontano le cronache, da dosi massicce di cappuccino.

Dicono inoltre le cronache che una ragazza è stata allontanata , perché giudicata troppo bassa e un’altra esortata a lasciare la compagnia (sarebbe meglio dire l’improvvisato simulacro di un harem?) perché non del tutto compatibile con i canoni ideali della bellezza secondo il colonnello Gheddafi: in altre parole, perché bruttina. Ma c’è qualcosa di più feroce di un’esclusione dovuta esclusivamente per cause, per così dire, fisiche? Mica quelle ragazze erano state selezionate per un concorso di bellezza, o per il casting di una trasmissione televisiva, o per allietare un evento mondano. No, erano state scelte per ascol­tare la parola di Gheddafi sull’Islam, sul crocifisso, sulle profezie, sulla virtù, sulla conversione. E allora che c’entrano la taglia 42 e il tacco di almeno sette centimetri? Ma se non c’entrano, come mai si è improvvisamente inaridito il fiume di discorsi e petizioni che in questi mesi si è imposto sulla degradazione del corpo delle donne, sulle ragazze ridotte e umiliate a strumento per allietare le serate dei sultani, all’imposizione di un canone convenzionale di bellezza che mortifica l’intelligenza delle donne, che trasforma le ragazze in oche e veline sottomesse ai capricci dei potenti? E invece adesso c’è il silenzio. Il silenzio assoluto.

L’imbarazzo ufficiale per le stravaganze di un sultano con cui è obbligatorio (e conveniente) conservare eccellenti rapporti bilaterali. L’imbarazzo civile di chi centellina con un po’ di cinismo (o di malafede?) la propria indignazione, azionandola solo in qualche occasione, imbavagliandola quando il bersaglio non è il solito Nemico di cui è persino superfluo fare il nome. Una festa dell’ipocrisia in cui a farne le spese sono un gruppo di ragazze ammassate su un torpedone. Taglia 42, tacco di sette centimetri, abitino nero per regalare al colonnello la soddisfazione di una bella lezione di religione.

Pierluigi Battista