Il Foglio – 23 Ottobre 2009

Cinque anni cruciali di relazioni tra l’Italia e la Libia: dall’arrivo al potere di Gheddafi, che in soli undici mesi, avrebbe portato alla brutale espulsione di ventimila italiani, costretti ad abbandonare senza alcun risarcimento un patrimonio valutato intorno ai duecento miliardi di lire dell’epoca; fino a quello storico accordo di cooperazione tra Italia e Libia del 1974 che rese di nuovo i due paesi partner privilegiati, facendo anzi dell’Italia una delicatissima e fondamentale “cerniera”. Da quell’accordo nacque una nuova storia di relazioni che – pur tra alti e bassi, soprattutto legati all’erratica personalità del raìs libico – portò fino al trattato d’amicizia del 2008.

La prefazione è di Angelo Del Boca: massimo storico del colonialismo italiano, e anche suo massimo fustigatore da posizioni di sinistra anticolonialista, anche se sempre rispettoso dell’equanimità storica.

La presentazione del volume ieri a Roma, è stata però organizzata in collaborazione con l’Associazione Italiana Rimpatriati dalla Libia, che a lungo ha esposto valutazioni opposte a quelle di Del Boca. E Giovanna Ortu, presidente dell’Airl, è stata tra gli oratori. Un fatto che segnala un progressivo avvicinamento delle posizioni. Ma ci voleva anche un libro come quello di Varvelli per “rappresentare questo nuovo spirito”. Ricercatore presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) di Milano, Varvelli ha infatti compiuto una ricerca certosina tra archivi e documenti diplomatici non al servizio di tesi dì parte ma della verità storica. E di sorprese e rivelazioni ne ha fatte emergere in quantità.

Una su tutte: c’è la possibilità che a provocare la cacciata degli italiani dalla Libia sia stata in realtà la pasticciata visita di tre deputati di sinistra italiani, venuti “a nome del Parlamento” e all’insaputa dell’ambasciata a presenziare, unici occidentali, alle manifestazioni per il ritiro statunitense dalla base di Wheelus nel 1970. Insospettendo però il terzomondista ma anche anticomunista Gheddafi al punto da fargli “intravedere una manovra” obliqua del nostro paese. Insomma, non una vendetta per il fascismo, ma una prevenzione del comunismo. La complementarietà tra le due economie era assoluta. Per questo l’Italia non poté procedere a rappresaglie. Per questo la Libia colpì i coloni che avevano in mano gran parte della piccola impresa, ma senza toccare i grandi interessi, a partire dall’Eni. E la diplomazia italiana a lungo si illuse, non capendo che la distruzione del ceto medio straniero era per Gheddafi un obiettivo irrinunciabile e sperò nella mediazione di Nasser.