Libero – 21 Ottobre 2009

Da quasi quarant’anni chiedono che la loro storia non passi sotto silenzio, che non si dimentichi la loro tragedia personale. Sono quei ventimila italiani espulsi dalla Libia – e i loro figli e nipoti – che nell’ottobre 1970, hanno dovuto abbandonare il paese in cui erano vissuti per decenni e andarsene, senza possedere più nulla. Proprio ieri è cominciato il voto alla Camera del Trattato di amicizia, partenariato e collaborazione tra Italia e Libia firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader libico Muhammar Gheddafi. Il trattato prevede, fra l’altro, l’impegno italiano a non concedere l’uso delle sue basi in caso di «aggressione» da parte degli Stati Uniti e della Nato e la costruzione di infrastrutture, fra cui l’autostrada Tripoli-Bengasi, per un totale di 5 miliardi di dollari. La votazione slitta ad oggi, tra interrogativi, domande, e contestazioni totali, come quella dei Radicali. E con l’Udc che annuncia in aula, con il leader centrista Pier Ferdinando Casini, che voterà no al Trattato se la Camera non approverà l’emendamento presentato proprio dai centristi che prevede il riconoscimento del diritto agli indennizzi ai cittadini italiani espulsi dalla Libia nel 1970. Casini ricorda che «l’emendamento è finalizzato a ricordarci di coloro che furono cacciati dalla Libia: ci preoccupiamo degli indennizzi dovuti a chi ha perduto i suoi beni a seguito della confisca e della cacciata da un Paese». E, in effetti, il governo raccoglie la richiesta e presenta un emendamento che prevede il pagamento di 50 milioni nel triennio 2009-2011 ai cittadini ed agli enti italiani presenti in Libia prima del 1971, quando sono stati espulsi dal regime di Gheddafi. Si tratta di un “ulteriore indennizzo” rispetto ad altri già corrisposti negli anni. Vale la pena di ricordare che il valore dei beni confiscati in Libia è stato calcolato, al 1970, dal governo italiano in 200 miliardi di lire per i soli beni immobiliari. Includendo i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali ed artigianali con relativo avviamento, questa cifra supera i 400 miliardi di lire che, secondo stime attualizzate al 2006, sono pari a circa 3 miliardi di euro.

“Ancor prima di conoscere la misura dell’indennizzo che sarà loro corrisposto, i rimpatriati esprimono soddisfazione per il fatto che la loro problematica sia stata inserita nella ratifica del Trattato italo-libico”. Questa è la reazione dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia, espressa dalla presidente Giovanna Ortu.

Opposizione al voto, accennavamo. E contro queste opposizioni, anche il seno al Pd, scende in campo Massimo D’Alema. L’ex ministro degli Esteri dichiara, senza mezzi termini, che non ratificare il trattato fra Italia e Libia , “dopo quindici anni di lavoro e negoziati che hanno impegnato cinque governi sarebbe un tragico errore”. In questo modo, D’Alema “bacchetta” quegli esponenti del suo partito che hanno presentato 6300 emendamenti. Inoltre, c’è da affrontare lo spinoso nodo dell’immigrazione clandestina, e D’Alema sottolinea che “in un quadro di cooperazione con i nostri alleati l’intesa per pervenire l’immigrazione clandestina è un’intesa italo-libica”. A fronte degli indennizzi per 5 miliardi di dollari che l’Italia stanzierà per “voltare pagina” rispetto al periodo dell’occupazione coloniale, Roma si attende infatti la piena collaborazione da parte della Libia nel contrasto all’immigrazione clandestina e l’attuazione dell’accordo già firmato nel 2007 per il pattugliamento congiunto delle coste libiche dalle quali salpano fiumi di migranti verso Lampedusa. L’accordo si baserà su una somma di 200 milioni di dollari all’anno per i prossimi 20 anni, sotto forma di investimenti in progetti infrastrutturali in Libia.

Sul tema interviene anche il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, secondo il quale la ricetta per il contrasto al fenomeno c’è ed “è quella di una grande mobilitazione internazionale”. E protagonista di uno scontro con la Libia è anche l’Udc. Non solo con la forte richiesta presentata –e accettata – da Casini. Un duro botta e risposta si registra tra l’ambasciata libica e Rocco Bottiglione, che, nel corso della votazione, chiede “qual è in Libia il livello di libertà per i cristiani? E gli ebrei ce abitano lì hanno gli stessi diritti riconosciuti a tutti gli esseri umani secondo le convenzioni delle Nazioni Unite?”. Piccata la risposta dell’ambasciata, con una nota: in Libia “c’è libertà di culto: questo è testimoniato dal fatto che a Tripoli c’è un vescovo e che si sono le chiese”.

Cotroreplica di Bottiglione: la risposta dell’ambasciata non dice “nulla sulla libertà di religione degli ebrei in quel Paese. Questa libertà deve starci molto a cuore”.

Caterina Maniaci