Corriere Economia – 28 Settembre 2009

Passate le celebrazioni per la ritrovata amicizia italo-libica, archiviate ormai le polemiche sulla visita di Silvio Berlusconi a Tripoli, restano altre questioni aperte tra i due Paesi. L’immigrazione, certo. L’ingresso del colonnello nel Milan, forse (ma questa è faccenda privata del premier). E l’ormai trentennale pasticcio dei crediti delle aziende italiane. Un pacchetto di oltre 600 milioni che la Jamahiriya dovrebbe versare dopo aver sospeso i pagamenti, come ritorsione, in seguito al primo embargo occidentale nel 1986.

Il contenzioso, che tutti si dicono pronti a risolvere, non è però di facile soluzione. Un’intesa è stata si decisa nell’ormai celebre Trattato d’amicizia italo-libico del 2008 (articolo 13), ma solo in linea di principio. Sulla somma da versare, e soprattutto su chi debba assumersi l’onere (e il rischio) di decidere chi deve prendere quanto, l’intera operazione si è are nata.

«La Libia ha deciso non solo di pagare 450 milioni anziché i 626 dovuti in solo conto capitale, ma di versarli al governo italiano e non alle imprese», spiega Pierluigi d’Agata, direttore generale di Assafrica, l’associazione di Confindustria per l’Africa e il Medio Oriente.

E il governo italiano non intende (per ora?) incassa­re quel denaro e ridistribuirlo, vista l’alto rischio di contestazioni da parte dei creditori. I 450 milioni sono stati poi ancora «scontati” da Tripoli, che sostiene di averne già versati 200 a varie imprese e quindi di avere ormai un debito che ammonterebbe a soli 250 milioni.

«Qualcuno è stato pagato, è vero, come Alitalia o Impregilo; altri hanno recuperato qualcosa tramite Sace – conferma Giorgio Vinai, amministratore de­legato della Conicos, in Libia da oltre 30 anni e ora impegnata nella costruzione dell’aeroporto di Ghat, tra i maggiori creditori -. E delle 115 imprese, rimaste c’è chi ha chiuso, chi non ha documentazione dei crediti. Ma che la Libia debba pagare è fuori dubbio. Altrettanto certo è che l’Italia deve risolvere questo pasticcio: dopo il successo del Trattato d’amicizia è inconcepibile lasciare il nostro problema in sospeso».

A complicare ulteriormente le cose, il fronte creditori è diviso in tre gruppi: Assafrica, Ance (con gli importi maggiori) e Airil. Oltre a Finmeccanica. Gruppi che si parlano, certo, ma con idee diverse su come uscire dal pantano e diversi gradi di bellicosità. Come diversa è la posizione tra chi in Libia vuole restare e chi se ne è andato. O tra chi deve avere somme ingenti e chi ne aspetta di minime, più pronto a battaglie di principio. Magari (si dice) anche ad incatenarsi davanti a Palazzo Chigi.

«Il problema – confermano fonti del governo italiano – resta aperto e complicato: oggi non c’è nessun accordo nè sulle cifre nè sui metodi, anzi è tutto bloccato. E l’Italia si trova in una posizione molto scomoda». Perché la proposta dei creditori, già oggetto di proposte di legge non’ancora approvate, è che «Roma prenda quanto offre la Libia per ragion di Stato», facendosi magari carico di pagare la differenza alle imprese. Cosa che porterebbe a molti probabili contenziosi.

Ma posizione scomoda anche perché i libici non sono contenti di vedersi rinfacciare che non hanno pagato. Proprio ora che il clima è tornato sereno tra i due Paesi.

«Ci sarebbe ancora quel problema dei crediti delle aziende da risolvere … », ha ricordato Berlusconi a Gheddafi nell’ultimo tete-à-tète il 30 agosto, tra un passaggio delle Frecce Tricolori e una considerazione sul Medio Oriente. Ma il discorso, a quanto è dato sapere, è finito lì.

Cecilia Zecchinelli