Il Corriere della Sera – 3 Settembre 2009

La storia dell’Italia in Libia coincide con quella di tante nostre famiglie lì rimaste fino alla brutale espulsione da parte di Gheddafi. Non so se da quel momento ci hanno addolorato di più i mille sgarbi libici dei quali siamo stati oggetto, oppure l’indifferenza del Governo italiano, tutto proteso a cercare ogni possibile ossequio per ingraziarsi il dittatore e per vantare la lungimiranza (o non piuttosto l’acquiescenza) della sua politica estera. E arriviamo oggi alle incredibili affermazioni, riportate dal Corriere del 28 agosto, del senatore Lamberto Dini, ex ministro degli Esteri e attuale presidente della Commissione Esteri del Senato. Il suo invito a «mettere una pietra sopra» al nostro dolore e ai nostri diritti, solo perché vecchi di quarant’anni, per lasciare posto a risarcimenti miliardari per storia di cent’anni fa, al cane a sei zampe, ai cammelli vari e alle nostre adorate Frecce Tricolori, ci ha ferito e indignato molto più dell’espulsione e della confisca. Vorremmo far sapere, tramite il Corriere, al senatore Dini che le pietre possono anche andare bene purché siano d’oro e possano essere facilmente suddivise in preziose pepite fra i tanti rimpatriati che ne hanno diritto. 

Raffaele Iannotti- AIRL Terni

Risponde Sergio Romano:

Caro Iannotti, 

Ricordo brevemente per i lettori che Lamberto Dini è stato uno dei maggiori artefici degli accordi italo- libici. Berlusconi ha raccolto molti allori e, come nel caso della sua lettera, altrettante critiche. Ma i risultati sono stati ottenuti grazie ai lavori di una squadra di cui hanno fatto parte, insieme a Franco Frattini e all’attuale presidente del Consiglio, Romano Prodi, Dini, Giuliano Amato, Giuseppe Pisanu e Roberto Maroni. Nella sua intervista al Corriere Dini non esita a sostenere che la riconciliazione è un evento positivo e che gli accordi gioveranno complessivamente all’econo­mia italiana. Bisogna quindi, conclude, mettere una pietra sul passato e guardare avanti. Avrei forse usato parole diverse, ma debbo confessare, caro Iannotti, che sono d’accordo con lui. Per due ragioni. In primo luogo la sicurezza energetica è un interesse dell’Italia, non del «cane a sei zampe». Sarebbe assurdo voltare le spalle a un Paese che è, insieme all’Algeria, il più vicino e il più conveniente dei nostri fornitori. 
In secondo luogo ciò che a noi maggiormente interessa in questo momento è creare un rapporto di organica collaborazione con la società libica, con i suoi tecnici, i suoi studenti, i suoi amministratori e i suoi professionisti. Vogliamo che l’Italia diventi per queste persone il principale punto di riferimento dell’Europa mediterranea. Le intemperanze e i furori nazionalisti di Gheddafi non mi piacciono. Lo stile del presidente del Consiglio nel corso dei suoi incontri con Gheddafi a Roma e a Tripoli avrebbe potuto essere più sobrio. Ma né Gheddafi né Berlusconi sono eterni. Mentre Italia e Libia continueranno ad affacciarsi sullo stesso mare per parecchio tempo. 
Resta naturalmente il problema degli indennizzi dovuti agli italiani che furono espulsi dalla Libia nel 1970. Mi auguro che le vostre associazioni riescano ad ottenere una somma superiore ai 150 milioni che sarebbero oggi previsti dall’accordo. Ma sulla utilità delle relazioni fra i due Paesi non ho dubbi.