Libero – 30 Agosto 2009

Il 20 agosto 2009 è stato il “giorno della vergogna” per questa Europa. Quasi nelle stesse ore Gran Bretagna, Svizzera ed Italia hanno incurvato la schiena per prostrarsi di fronte al dittatore libico Gheddafi, incarnazione del dio del petrolio, del gas e del denaro, confermando che siamo a tal punto moralmente degradati da non avere più alcuna remora nello svendere i nostri valori e rinunciare alla nostra dignità.

Nello stesso giorno la Gran Bretagna ha rilasciato il terrorista libico Abdel Baset al-Megrahi, condannato per la strage dell’aereo della Pan Am il 21 dicembre 1988 costata la vita a 270 persone, in cambio di nuove agevolazioni petrolifere alla Bp; il presidente svizzero Hans-Rudolf Merz si è recato a Tripoli e si è scusato per l’arresto e la detenzione del figlio del dittatore libico, Hannibal, condannato per aver picchiato a sangue due domestici circa un anno fa; il governo italiano ha confermato che Berlusconi si sarebbe recato in Libia nella ricorrenza del primo anniversario del del Trattato italo-libico di amicizia, che avviene proprio oggi, a dispetto dell’ennesima strage di clandestini costata la vita a 73 etiopi partiti dalle coste libiche, che getta ombra sul rispetto del trattato stesso.

Per l’Europa è arrivato il momento di fare la scelta strategica di liberarci dalla schiavitù del petrolio, del gas e del denaro sporco. Perché se domani, primo settembre, l’Italia sarà costretta a omaggiare il dittatore libico Gheddafi con l’esibizione delle frecce tricolori per condividere la sua festa per il quarantesimo anniversario del colpo di stato al seguito del quale cacciò 20 mila italiani confiscando tutte le loro proprietà, stimate dall’Airl in 3 miliardi di euro e che a tutt’oggi si rifiuta di indennizzare, significa che abbiamo abdicato alla nostra dignità nazionale. Ed il fatto che sia Gheddafi a pagare il costo dell’esibizione delle nostre frecce tricolori è ancor più grave, dal momento che rappresentando un simbolo della nazione, significa che ormai siamo disponibili a barattarlo in cambio di denaro. È del tutto evidente che il problema si pone dal momento che si tratta di un regime dittatoriale e reo-confesso di terrorismo internazionale, che a tutt’oggi non esita a impiegare le armi del ricatto per sottomettere ai propri diktat un’Europa edonista e pavida, che è pronta a tutto pur di poter perpetuare una concezione della felicità appiattita su parametri materialistici e consumistici.

Dovrebbe farci riflettere il fatto che oggi i nostri tre principali alleati internazionali sono Putin, Gheddafi ed Erdogan, a capo di tre regimi autoritari che detengono i giacimenti o controllano le rotte del petrolio e del gas, costituendo al tempo stesso dei mercati allettanti per le nostre esportazioni. E non a caso questa strategia è patrocinata dall’Eni che, dall’indomani della seconda guerra mondiale, ha determinato le scelte sia energetiche sia politiche dell’Italia in Medio Oriente, nel Golfo e ovunque coltivi degli interessi. Sia chiaro che a queste scelte hanno aderito sia i governi democristiani, sia i successivi governi di sinistra e di destra. È quindi una scelta che accomuna l’insieme della classe politica italiana, in cui si ritiene che la garanzia delle riforniture di petrolio e di gas debba prevalere su qualsiasi altra considerazione, compresa la legittimazione di regimi dittatoriali che violano i diritti dell’uomo e sponsorizzano il terrorismo internazionale. Non mi sorprende affatto che la Procura di Perugia, come si legge in un’inchiesta pubblicata da L’Espresso, dopo tre anni di indagini ha emesso delle condanne e rinviato a giudizio alcuni italiani coinvolti in una rete che riforniva la Libia di armi russe.

Probabilmente in Italia stiamo sottovalutando l’impatto e le conseguenze dell’accordo italo-russo-turco del 6 agosto scorso per la costruzione del gasdotto “South Stream”, frutto di un’intesa tra l’Eni e la russa Gazprom, che porterà 63 miliardi di metri cubi di gas annui dai giacimenti del Mar Caspio all’Europa attraversando il Mar Nero e i Balcani, che sostanzialmente determinerà la morte del gasdotto Nabucco, voluto dall’Ue e dagli Stati Uniti, per affrancare l’Europa dal monopolio delle forniture di gas russo. Di fatto l’Italia partecipa con la Russia e la Turchia ad una strategia energetica che favorisce la crescita della dipendenza dell’Europa sia dalla Russia che dalla Turchia che, tra l’altro, ha ottenuto in cambio dell’autorizzazione al transito del gasdotto sul proprio territorio, la costruzione da parte dei russi della sua prima centrale nucleare.

È tutto l’insieme che non torna. Dall’accoglienza trionfale in patria da parte dello stesso Gheddafi alla stregua di un eroe nazionale al terrorista reo-confesso al-Meghrahi; alla volontà di riarmarsi sia tramite gli accordi diretti con il governo italiano sia con l’accordo miliardario con la Finmeccanica sia infine operando clandestinamente sul mercato nero; fino alla persistente strumentalizzazione dei clandestini come arma di ricatto per condizionare la nostra politica: tutto sta ad indicare che il regime libico è tutt’altro che cambiato e che tuttavia noi ci siamo sottomessi al suo arbitrio.

Ha ragione il ministro dell’Interno Roberto Maroni quando rileva che dall’entrata in vigore del trattato con la Libia, lo scorso maggio, il numero dei clandestini arrivati in Italia a partire dalle coste libiche è calato del 92%, passando da 10.116 nel periodo dal primo maggio al 31 luglio 2008, a 1.116 nello stesso periodo del 2009. Tuttavia se si considera che dalla firma del trattato con la Libia il 30 agosto 2008 il totale dei clandestini partiti dalle coste libiche è di circa 10mila, che sono oltre un migliaio i clandestini che continuano a partire dalle coste libiche a dispetto dell’entrata in vigore del trattato e che comunque ci sono stati decine di morti le cui vite sono inestimabili, è evidente che Gheddafi continua a tenere in piedi la minaccia degli sbarchi per mantenere in tensione permanente i rapporti con l’Italia. Il quadro d’insieme di questa Europa è desolante. Ormai abbiamo superato ogni limite di decenza nello svendere i valori e siamo pronti a prostituirci pur di possedere a tutti i costi beni materiali da cui facciamo dipendere la nostra concezione di sviluppo e felicità. Quando lo scorso anno Gheddafi minacciò il ritiro dei fondi libici dalle banche svizzere come ritorsione per la sanzione inflitta dalla magistratura elvetica a suo figlio Hannibal, il nostro governo intervenne per ottenere che quei fondi fossero versati alle banche italiane. Qual è il messaggio che diamo a Gheddafi, ad arabi e islamici che detengono petrolio, gas, fondi sovrani e mercati allettanti? Che siamo pronti a tutto pur di avere il denaro, anche se si tratta di pugnalare alle spalle governi europei alleati e con cui dovremmo condividere i valori non negoziabili alla base della civiltà d’Europa.

Ecco perché dobbiamo dire basta a questa scelleratezza che ci sta degradando moralmente. Riappropriamoci dei nostri valori, stringiamoci attorno alla nostra identità, riscattiamo la nostra civiltà affrancandoci dalla schiavitù del petrolio. È ora di fare delle scelte coraggiose e lungimiranti nell’ambito vitale delle fonti energetiche, al fine di poter salvaguardare la nostra dignità come persone e come nazione.

Magdi C. Allam