Il Riformista – 28 Agosto 2009

Al faraonico show voluto dal Colonnello Gheddafi per celebrare i suoi quarant’anni al potere, il despota dello Zimbabwe Robert Mugabe non mancherà. Con lui a Tripoli il primo settembre ci saranno circa 300.000 persone, tra spettatori e protagonisti. Gli ospiti più frequentabili però declinano l’invito. Ieri è stato il giorno delle defezioni. L’Eliseo fa sapere che la partecipazione di Nicolas Sarkozy “non è mai stata presa in considerazione”. Dalla Francia non partirà nessuna delegazione, basta l’Ambasciatore. Il Presidente russo Medvedev “è già impegnato” e così anche il premier Vladimir Putin. Buckingham Palace conferma l’annullamento del viaggio d’affari del Principe Andrea. E a New York e dintorni, dove è atteso per un intervento al Palazzo di Vetro i 23 settembre, il Colonnello no trova un lembo di terra dove piantare la sua tenda. L’Italia fa eccezione.

Palazzo Chigi ieri si è premurato di precisare che Silvio Berlusconi sarà in Libia il 30 agosto solo per celebrare il primo anniversario del Trattato di Amicizia. Scapperà in tempo per evitare – se non ci saranno tranelli – l’omaggio formale alla festa della dittatura. Tanto più che il primo settembre è atteso a Danzica per il settantesimo anniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale. La smemoratezza storica è stata arginata. Ma non basta.

Lo scivolone rimane, anche se è più di forma che di sostanza. L’Italia pecca più per goffagine – scontando ancora una volta la diplomazia free-lance del suo Presidente del Consiglio – che per cinismo. E paga una tempistica sfortunata, facendosi trovare impreparata dalla bufera sull’accoglienza da eroe riservata da Tripoli allo stragista di Lockerbie. Sia chiaro però che chi diserta la festa di Gheddafi non è in condizione di darci lezioni di moralità politica sui rapporti con i tiranni, neanche su questo tiranno che l’Italia si ostina a corteggiare pubblicamente.

La «nausea» lamentata da Gordon Brown per il trionfale ritorno in patria di al-Megrahi non toglie nulla alle responsabilità britanniche. Il tentativo di Downing Street di fare della liberazione del ter­rorista una “questione scozzese” è poco credibile. Né risulta convincente l’indignazione di Lord Mandelson di fronte al sospetto – accreditato dalla famiglia Gheddafi – che la «compassionevole» ‘liberazione dello stragista malato sia: stata barattata in cambio di nuove opportunità di business. È bene inoltre ricordare che è stato il promotore dei diritti umani Nicolas Sarkozy il primo leader occidentale ad aprire (a fine 2007) le porte di casa allo sdoganato Colonnello, offrendogli cinque giorni da protagonista a Parigi in cambio di una ventina di Airbus e una sfilza di accordi commerciali. E a Tripoli è passata meno di un anno fa anche Condoleeza Rice, intenzionata a «migliorare il clima per gli investimenti americani».

Entro certi limiti, nulla di scandaloso. Gheddafi dal 2003 ha compiuto i passi richiesti dalla comunità per la sua riabilitazione: rinuncia a proseguire il programma di sviluppo delle armi di distruzione di massa, ripudio del terrorismo, compensazioni in denaro alle vittime degli attentati (inclusa Lockerbie). Le porte da allora sono aperte per trattare con i libici.

L’Italia peraltro si trova in una posizione assai diversa rispetto agli altri Paesi occidentali. A torto o a ragione il nostro governo ha puntato sulla collaborazione di Tripoli per far fronte al flusso incontrollato di immigrati. E così, seppur tortuosamente, ha finito col farsi tardivamente carico delle responsabilità per il nostro passato coloniale. Il rapporto con la Libia per l’Italia non è solo un’opzione commerciale. E il Trattato di Amicizia che Silvio Berlusconi intende celebrare con il viaggio a Tripoli non può essere liquidato come semplice cedimento a un tiranno.

Il problema è che Roma sembra confondere il delicato – forse necessario – rapporto con un dittatore con una affettuosa amicizia. Nella tragicomica visita in Italia dello scorso giugno abbiamo offerto al più inaffidabile dei tiranni un palcoscenico ideale per sbeffeggiarci. Gheddafi non si è fatto pregare. Ora perseveriamo. Nel cielo di Tripoli le nostre Frecce lasceranno una scia tricolore – quasi un omaggio alla cacciata della comunità italiana – o verde in onore della Rivoluzione. Manca solo l’invito a Villa Certosa, ma la nuova pochade internazionale è tipicamente berlusconiana.

Il Presidente del Consiglio da tempo teorizza la sostituzione della politica estera con la promozione .del business italiano. Ma è nello stile, prima ancora che nella sostanza, che Silvio Berlusconi applica il talento da imprenditore­venditore. Tratta ogni interlocutore come un cliente da conquistare. Riadatta sul palcoscenico internazionale il leg­gendario decalogo fornito anni fa alla squadra di venditori di Publitalia. Punta tutto – per citarlo – sulla «mia personale autorevolezza, la mia capacità di farmi concavo o convesso». Eccede nello zelo. Si fa troppo concavo. E ci mette in imbarazzo.

Luigi Spinola