Il Riformista – 12 Giugno 2009

«L’esodo e gia cominciato, la resistenza 10 protegge. Non· ci prenderete mai». Si concludeva cosi il volantino di “mobilitazione” pubblicato il giomo prima dell’ arrivo di Muammar Gheddafi sul sito network dei ribelli degli atenei italiani, Uniriot.org. Autori, i ragazzi dell’onda, il movimento studentesco che ha la sua testa all’università La Sapienza di Roma. Anche gli studenti, insime a tanti altri, hanno preso male il caloroso abbraccio del nostro Governo al colonnello di Tripoli e hanno organizzato una manifestazione di protesta. «Come studenti della Sapienza in onda abbiamo partecipato alle azioni e manifestazioni contro il pacchetto sicurezza e il vertice del G8 su sicurezza e immigrazione e riteniamo inopportuna la visita del Colonnello: l’università non è una vetrina per il Governo e i suoi accordi criminali sull’immigrazione!», cosi i loro volantini.

Ieri mattina, Gheddafi ha tenuto un discorso nell’Aula magna dell’ateneo romano, le domande erano concordate e i protestatari lo hanno accolto in assetto di guerra. Radunati in diverse centinaia in piazza della Minerva, per l’occasione blindata, nell’attesa di veder comparire la macchina bianca del colonnello hanno lanciato vernice rossa – «come simbolo del sangue versato dagli immigrati respinti» – e uova contro le forze dell’ordine. Fumogeni, spintoni, urla, calci e cariche. Tutto secondo copione. Sui campo, fortunatamente, nessun ferito. E alla presenza massiccia della polizia, si sono poi aggiunti i variopinti bodyguard del colonnello, in stile libico-kitch, tra cravattoni colorati, spalline e occhiali da sole. Arrivati in ritardo, ma pur sempre presenti e ricevuti dagli applausi in controtendenza di una cinquantina di curdi che agitavano gigantografie del loro leader Ocalan.

Ma quelli dell’Onda non so­no i soli che lo hanno duramente attaccato per i 40 anni della sua dittatura. Anche al Senato, in mattinata, la sala Zuccari contava le assenze dei senatori dell’Idv e dell’Udc. In una sala attigua, i senatori del partito di Di Pietro hanno tenuto un contro-discorso, facendo il verso a Gheddafi e indossando sulle giacche al posta della foto di Omar-al Mukhtar (l’eroe libico della resistenza anti-italiana), la foto dei rottami del volo Pan Am, che a dicembre del 1988 fu distrutto in volo da un’esplosione sui cieli di Lockerbie. Le vittime furono 270. Per l’Udc di Casini, invece, l’accoglienza cosi amichevole riservata al colonnello indica «problemi di decoro delle istituzioni e di dignità». Sulla stessa linea i radicali. Il senatore Marco Perduca ha assistito al discorso di Gheddafi, per poi bollarlo come «interminabile» e sottolineare che «non ha detto una parola a nome e per conto dell’Unione africana o sui problemi continentali, ma ha inflitto all’uditorio un con­centrato di terzomondismo, anti-capitalismo, anti-americanismo e anti-fascismo».

«Noi questa visita ce l’aspettavamo da moltissimi anni» Dice al Riformista Giovanna Ortu, presidente dell’ Associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia (Airl). «Sin dal ’77, a sette anni dal decreto di confisca. In quell’anno ci fu l’accordo tra la Fiat e Tripoli e si ventilo una visita di Gheddafi qui in Italia. Ma noi ci opponemmo. Eravamo tutti scoraggiati e molto arrabbiati. Abbiamo subito innumerevoli perdite, in violazione del diritto internazionale». Ora, però, le cose sono cambiate e sabato mattina Gheddafi incontrerà, seppur ufficiosamente, gli italiani nati in Libia. «Vede – ci dice la Ortu – il tempo è un grande balsamo per tutte le ferite. Certo che vedere al tg uno che scende in quel modo tragicomico dall’ aereo, dovrebbe far vergognare un po’ tutti gli italiani!». Cosa ne pensate dell’accoglienza che gli è stata riservata? «Ce l’abbiamo con il Governo, in primo luogo perché avevamo chiesto di essere coinvolti ufficialmente e poi perché riteniamo che il colonnello debba chiedere scusa anche a noi italiani».

«Mi auguro che il nostro premier, che si sottopone a tante umiliazioni, possa vederne il riflesso se non altro economico. Se vogliamo essere ancora uno Sta­to dignitoso e non solo da operetta». A parlare ora è Raffaele Iannotti, vicepresidente dell’ Airl. Quando fu costretto ad abbandonare la Libia aveva 20 anni. Il suo cruccio è aver fatto un impianto elettrico a casa sua a Misurata (un paese a 250 km da Tripoli) che non ha mai potuto provare. «Quando siamo tornati a Tripoli nel 2004 – racconta al Riformista – la prima cosa che ho fatto e stata andare a Misurata per verificare che l’impianto funzionasse». E funzionava? «Certo. Funzionava benissimo!».

Anna Mazzone