Il Corriere della Sera – 11 Giugno 2009

Evento storico certamente lo è: la prima volta del leader libico nell’ex potenza coloniale, gli ampi passi compiuti dall’Italia nel riconoscere gli orrori commessi in quel periodo, il trattato italo-libico dello scorso anno, tutto contribuisce a fare della visita di Muammar el Gheddafi uno d quegli episodi che modificano in profondità il rapporto tra due Stati. Eppure una sensazione di disagio permane, e ci sembra giustificata.

Per alcuni non trascurabili versi, il nuovo clima di cooperazione e di amicizia instaurato con Gheddafi e nell’interesse dell’Italia.

Interesse economico, ovviamente nel settore energetico ma anche a beneficio di altre imprese la cui attività dovrebbe riequilibrare i pesanti impegni finanziari sottoscritti dall’Italia lo scorso anno.

Interesse politico, perché il governo Berlusconi ha avuto il merito di finalizzare l’intesa con Tripoli (anche se le prime aperture vennero da Prodi) e conta ora sulla collaborazione libica nella lotta all’immigrazione clandestina nel nostro Paese. Il recente e controverso “respingimento” verso la Libia di un contingente di aspiranti immigrati e stato soltanto la prova generale di una strategia cui il governo intende rimanere fedele, sperando che la selezione delle richieste d’asilo possa avvenire sul suolo libico. Meccanismo questo, peraltro, tutto da verificare e sul quale l’Italia dovrebbe insistere.

Interesse geopolitico, infine, perché in un Mediterraneo sempre pronto ad infiammarsi la stabilita del Nord-Africa e un elemento cruciale. Soprattutto quando questa stabilita, come avviene nel caso di Gheddafi, non viene raggiunta in alleanza con gli islamisti ma piuttosto contro di essi. Non è poco, e a conti fatti tanto i dirigenti italiani quanta il Colonnello di Tripoli sono impegnati in una operazione saggia. A una condizione, però: che l’onere della memoria sia completo e non unilaterale, che ai nostri torti tanto sottolineati (persino dall’immagine dell’eroe della resistenza Omar al Mukhtar, impiccato dagli italiani, che Gheddafi portava ieri sulla divisa) corrisponda una eguale capacita mnemonica nei confronti dell’ospite.

Perché qualcosa, se non si vuole essere ipocriti, va ricordato. Vanno ricordati gli anni nei quali la Libia di Gheddafi era fornitore privilegiato di alcuni movimenti nazional-indipendentisti europei che spesso e volentieri facevano ricorso al terrorismo (l’Eta basco e l’Ira nord-irlandese, per non andar lontano). Va ricordato che moltissimi italiani furono espulsi dalla Libia nel 1970 e che 16 anni dopo, per rispondere a un proditorio bombardamento Usa a sua volta innescato da un presunto attentato libico a Berlino, Gheddafi non aveva esitato a sparare due missili contro Lampedusa (senza raggiungerla). Va ricordato – ma nella sua regione la Libia non fa davvero eccezione – che quella di Tripoli non e proprio una democrazia. Va ricordato che la Libia ha pagato indennizzi enormi per sbarazzarsi (secondo un metodo davvero singolare) dell’accusa di aver fatto cadere due aerei con centinaia di vittime, il PanAm di Lockerbie (peraltro al processo la responsabilità libica e stata ampiamente rimessa in discussione) e l’Uta francese caduto nel Sahara. Va ricordato, e siamo a tempi più vicini, che le scelte internazionali della Libia erano cambiate dalla fine degli anni Novanta, ma la svolta vera, tra il 2001 e il 2003, avviene dopo che la intelligence americana e inglese scoprono per puro caso un programma per la costruzione di armi di distruzione di massa, nucleari comprese, con la consulenza dello scienziato pachistano Abdul Qadeer Khan. Da quel momento la Libia si autodenuncia, accetta di rinunciare ai suoi progetti, e passa sotto l’ala dell’Occidente.

A tutti, beninteso, va riconosciuto il diritto di cambiare idee e anche comportamenti. Non vogliamo buttare il peso di una storia pur recente sulle spalle di Gheddafi. Ma visto che gli italiani appaiono propensi a rendergli un omaggio appena scalfito dal mancato intervento nell’aula del Senato mentre il Colonnello non rinuncia a stuzzicarli ( «sono qui soltanto perché l’Italia si e scusata»), non incontra i nostri connazionali espulsi, e agli ebrei libici allontanati prima della sua ascesa al potere assegna provocatoriamente una udienza di sabato, allora la voglia di riequilibrare le memorie si fa impellente. Forse Gheddafi intende continuare «da amico» in quella doccia scozzese anti-italiana che tanto gli e servita a tenere vivo il consenso nazionalista interno? La visita e una grande occasione di chiarezza. Non soltanto per l’Italia, però.

Franco Venturini