Il Sole 24Ore – 13 Febbraio 2009

Come già nel passato, anche i Governo Berlusconi danno prova di sano realismo, sempre indispensabile in momenti di crisi come quelli attuali, sembra pronto a srotolare tappeti rossi davanti agli investitori libici. A costo di stendere un velo sulla cacciata dei 20mila italiani dal territorio libico nel ’70 e mettendo da parte la storia di un rapporto problematico. Ma a differenza del passato, quando sui capitali libici (ad esempio in Fiat) vigeva il principio del “pecunia non olet” ora le autorità di Tripoli puntano a una vera legittimazione politica dei loro affari in Italia trovando nel nostro Paese attenti

interlocutori.

Solo così si spiega la rapidità con cui il ministro della pianificazione libica e presidente del fondo sovrano Libyan investment authority, Abdul Hafiz Zlitni, in questi giorni a Roma, è stato ricevuto ieri a

Palazzo Grazioli dal premier Silvio Berlusconi e dal ministro dell’economia, Giulio Tremonti, per dare corpo a quel “partenariato” tra Roma e Tripoli che rappresenta l’ elemento:di novità del Trattato di amicizia e cooperazione italo-libica in questi giorni in pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e che, a quanto si apprende, verrà ratificato dal congresso del popolo libico il 2 marzo prossimo a Sirte alla presenza congiunta sia del colonnello Muammar Gheddafi che del premier italiano Silvio Berlusconi.

La visita di Zlitni a Roma, come spiega l’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, rientra nelle consultazioni tra le autorità libiche e quelle italiane sulle modalità di attuazione del Trattato di amicizia e cooperazione. Da un lato c’è il riconoscimento all’Italia per avere chiuso, unico tra i Paesi europei già presenti in Africa, il passato coloniale con un “grande gesto” di riconciliazione che si tradurrà in grandi opere infrastrutturali per complessivi 5 miliardi di dollari in venti anni. Dall’altro si vuole rendere concreto l’impegno preso dal leader Gheddafi dopo la firma dell’accordo del 30 agosto che d’ora in avanti la Libia darà la priorità all’Italia per il 90% dei suoi investimenti all’estero. Nell’incontro di ieri non si sarebbero affrontati nel dettaglio singoli dossier. Ci sarebbe da parte libica, per ora, solo la volontà di conoscere meglio il sistema industriale italiano, in particolare quello delle piccole imprese per far crescere anche in quel Paese un tessuto imprenditoriale moderno.

Le prospettive che si aprono sono interessanti e la volontà del Governo libico sembra autentica come dimostrato dal fatto che molto probabilmente lo stesso ambasciatore libico Gaddur, molto legato a Gheddafi potrebbe diventare a breve il terzo vicepresidente di Unicredit affiancando Fabrizio Palenzona (Cassa di risparmio di Torino) e Gianfranco Gutty (Carimonte).

Ma se è giusto apprezzare queste prospettive è bene ricordare che nel passato, all’indomani di analoghi accordi politici tra Italia e Libia, si è assistito allo sblocco di accordi economici come il megacontratto Eni raggiunto subito dopo il comunicato congiunto firmato dall’ex ministro degli Esteri Lamberto Dini nel luglio del 98. Anche in questa circostanza il “grande gesto” italiano porterà, probabilmente, a un rafforzamento dell’integrazione economica e finanziaria tra i due Paesi. Altro è capire se questa partnership sarà veramente stabile e duratura. Il colonnello Gheddafi ha bisogno di rafforzare la sua leadership in Africa e preparare una successione che metta al riparo il regime da derive fondamentaliste. In questa quadro gli amici italiani rappresentano ancora per lui (come già ai tempi di Craxi che lo salvò dal raid americano su Tripoli e poi negli anni ’90 per farlo uscire dall’isolamento dopo Lockerbie) il migliore ancoraggio alla sponda Nord del Mediterraneo.

Da abile negoziatore Gheddafi promette lucrosi affari all’Italia ma è facile immaginare che utilizzerà ancora una la volta l’arma degli immigrati clandestini per tenere aperto un terreno di confronto nonostante gli accordi firmati dagli ex ministri Pisanu e Amato e nonostante l’ultima intesa raggiunta da Roberto Maroni pochi giorni fa a Tripoli. Zlitni non era certo l’interlocutore giusto con il quale Berlusconi e Tremonti potessero affrontare ieri l’argomento clandestini ma sullo sfondo di ogni incontro italo-libico resterà forse sempre quello il vero nodo da sciogliere.

Da Scajola: Ricognizione sui distretti

L’esperienza dei distretti italiani potrà essere esportata in Libia. Questa è almeno quanto chiedono le autorità di Tripoli nel quadro del partenariato prevista dal Trattato di amicizia e cooperazione. Dopo l’incontro di ieri con il premier Silvio Berlusconi e con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, oggi il ministro della Pianificazione e presidente della Libyan Investment Authority, Abdul Hafiz Zlitni, avrà un colloquio con il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. «L’idea – spiega l’ambasciatore libico Hafed Gaddur – è di individuare un gruppo di aziende italiane piccole e medie attive in vari settori disponibili a creare, insieme alla controparte libica, nuovi distretti industriali in zone vicine a porti e aeroporti».

Gerardo Pelosi