L’Opinione delle Libertà – 24 Ottobre 2008

Il Trattato di amicizia italo-libico, firmato a Bengasi il 30 agosto scorso e reso pubblico dal quotidiano La Repubblica ieri mattina, è pieno di omissioni e contraddizioni. Una cosa è certa: i libici sanno trarre frutto dalle esperienze passate e noi no. In realtà nel Trattato l’unica cosa certa sono gli obblighi dell’Italia nei confronti della Libia mentre quelli libici vengono rimandati sine die. Ci sono voluti 39 anni per chiudere il contenzioso dei danni di guerra e del periodo coloniale, danni già concordati e pagati dall’Italia nel 1956. Altrettanti anni ci sono voluti per abrogare dei vincoli discriminatori esclusivamente per le imprese italiane che operano in Libia. Per effetto di detti vincoli, molte aziende, grazie anche alle sollecitazioni dei nostri governi ad operare in Libia, hanno subìto in questi decenni danni irreparabili sia economici sia esistenziali dovuti a sequestri di cantieri, blocchi di pagamenti ed in molti casi l’onta del carcere. Per i loro diritti, all’art.13, viene demandato il tutto a dei Comitati misti e non solo. Infatti, si parla di crediti verso enti ed istituzioni libiche dimenticando che sino al 1980 vi erano imprese private libiche che acquisivano commesse per lavori ed a loro volta le affidavano ad imprese italiane. Così pure, sino all’80, l’importazione di beni di vario genere era gestita da privati. Entrambi, con la nazionalizzazione di tutte le attività, non poterono far fronte ai loro debiti per il blocco dei trasferimenti di valuta, quindi, fu un’imposizione politica e non un’insolvenza personale. Certamente, ci si è dimenticati dei 400 miliardi di lire per beni confiscati ai ventimila italiani espulsi dalla Libia nel 1970. Guarda caso, dopo alcuni anni, la stessa cifra fu investita dai libici nella FIAT con il risultato, al momento della vendita azionaria, di ben 4.400 miliardi di lire esentasse.

Ciò che stupisce il lettore è il riferimento nel Trattato ai principi internazionali dell’Onu ed alla Carta Universale dei Diritti Umani ed il trattamento riservato dalle due parti ai diritti di tante migliaia di cittadini italiani. Anche la questione dell’immigrazione clandestina è trattata in maniera contraddittoria. Infatti, se si fa riferimento a degli accordi bilaterali del 2000 e 2007, non si capisce perché dal 2000 ad oggi la Libia non abbia rispettato quegli accordi e, di conseguenza, nasce il dubbio se rispetterà il Trattato in parola. Ci sembra lapalissiano che, in caso di controversie che potrebbero nascere nella progettazione ed esecuzione delle opere da parte di imprese italiane, la soluzione sia affidata ad un ente internazionale o ad un’istituzione terza. Invece, la questione è demandata ad incontri fra i due governi ad alto livello. Circa la chiusura dell’azienda italo-libica Ali, che avrebbe dovuto favorire le aziende italiane negli appalti pubblici libici e che, invece, ha solo preteso sino al 5% sulle commesse, si destinano i fondi senza rimborsare le quote societarie agli azionisti italiani. Tutti gli articoli del Trattato, a meno di quelli che riguardano impegni italiani ben precisi, sono solo affermazioni di principio ed espressioni di buona volontà. Si dice che dalle case del mondo ogni giorno escano un fesso e un dritto: se s’ incontrano l’affare è fatto! Ai lettori giudicare chi nel Trattato ha fatto la parte del fesso e chi quella del dritto.

Leone Massa