Il Corriere della Sera – 8 Ottobre 2008

«Lunga vita al nostro leader», e l’occhio di Lamberto Dini già si appanna. «Gheddafi è come il Nilo che sale al mare» e Beppe Pisanu ha un sussulto. «Tutto il mondo guarda a lui», e anche Vittorio Sgarbi si appanna un po’. Tre ore di cerimonia. Con la prima fila delle autorità italiane che si muove, si scuote, si danna. Un uomo solo ascolta tutto in cuffia. Non gira uno sguardo. Non perde un nome. Giulio Andreotti. Quando viene chiamato sul palco del Palazzo dei Congressi, è rapido come un laureando: cinque scalini saliti in scioltezza, altri tre, l’abbraccio, un diploma e giù per la gobba cala una fascia verde. La medaglia di benemerito della Jamahiriya. Nell’eternità dei deserti, lui che ha passato la sua eternità a lavare la faccia sporca del Colonnello, anche quando gli americani lo chiamavano il cane pazzo, lui, la volpe, a garantire: bella soddisfazione! «Non guardiamo al passato, quel che conta adesso è il futuro», dice il quasi novantenne. Il Giorno dell’Odio antitaliano è ora il Giorno della Lealtà, nel personalissimo calendario gheddafiano, e c’è un aereo intero a presentarsi cappello in mano su quella che fu la nostra Tripolitania e oggi è trippa per tutti. L’accordo di Berlusconi del 30 agosto, quello che chiude 40 anni di controversie, apre un bel po’ d’affari. E allora è meglio una bella pietra su tante liti. L’elenco dei premiati è lungo e trasversale, in cima la triade degli ex Dc che la Libia considera più amici: «Gheddafi è l’unico leader democristiano del mondo arabo — dice Sgarbi —, per questo si intendono alla perfezione». E aggiunge: «Colonnello, lei è come Berlusconi e Bossi, proprio come loro ». Gheddafi ride, gli altri un po’ meno. Non manca — quasi — nessuno di mezzo secolo di amicizie: i politici venuti fin qui, da Guido Folloni al critico d’arte oggi sindaco di Salemi (che dieci anni fa violò con Niki Grauso e due Cessna l’embargo aereo), ma anche gli assenti Massimo D’Alema (a rappresentarlo Nicola Latorre) e Romano Prodi, l’ex direttore del manifesto Valentino Parlato (che visse in Libia fino ai vent’anni e finché non fu cacciato dagli inglesi, «pericoloso comunista»), Angelo Del Boca… Una fascia verde per ciascuno, con una costante di tutte le motivazioni: «È stata una grande vittoria per il popolo libico, finalmente l’Italia ha chiesto scusa di tanti martirii e soprusi». I gheddafiani le esigono ad ogni frase. Più sfumati i nostri, che preferiscono ricordare l’importanza del momento. «Il senso di questa giornata è la distensione — dice Andreotti —, la politica estera non si fa con un partito e con un leader. Si fa con un intero popolo». E come una volta diceva che «la pace è meglio farla con i vicini di casa», ora ritiene che «è meglio andare d’accordo con chi ci è vicino, non con chi ci è lontano». L’incontro con Gheddafi è a sera, nell’attesa del deserto: Andreotti, Dini, Pisanu, di verde fasciati, sul divano, Sgarbi accovacciato alla bell’e meglio sul bracciolo. «La vedo bene in salute!», si illumina il Colonnello di fronte al divo Giulio. «Grazie, anch’io ho un ricordo positivo di lei», la risposta. La missione è chiara: caro Gheddafi, saremmo lieti di averla ospite in Italia. Una visita che era in programma, ai tempi di Sarkozy, e saltò proprio per questa faccenda delle scuse… L’aggancio è fatto, il Colonnello ci sta. E a rovinare le cose non basta la trovata finale di Sgarbi, che illustra a Gheddafi le meraviglie di un’intesa con la siciliana Salemi e propone di rispondere a Bossi annettendo la Trinacria alla Libia intera. Le scuse ormai sono fatte. Adesso, avanti con gli affari. Si comincia dai gadget: quando la delegazione sbarca a Roma, ed è notte, ci sono chili di pesce fresco e quintalate di datteri per tutti. Gentile omaggio del nuovo amico.  

Francesco Battistini