Panorama Economy – 8 Ottobre 2008

Loro chiedono «solo» 600 milioni di euro. A metterla così sembra una cifra enorme. Ma la prospettiva cambia se si pensa che gli italiani cacciati dalla Libia di euro ne hanno persi ben 3 miliardi. Che sono circa 20 mila (chi non c’è più, adesso è rappresentato dai discendenti). E che il governo italiano ha appena siglato un impegno per la costruzione di un’autostrada da 5 miliardi di dollari (cioè 3,43 miliardi di euro) in Libia. Per non parlare delle prospettive di business per le aziende italiane, che sperano di partecipare a un piano di rilancio da 150 miliardi di euro da Muammar Gheddafi. 
L’accordo firmato lo scorso 30 agosto tra il premier Silvio Berlusconi e il leader tripolino, insomma, fa contenti quasi tutti: i libici ottengono il risarcimento che volevano per i 30 anni di dominio coloniale, e le aziende italiane pronte a sfruttare le nuove possibilità. Ma non fa contenti loro: i 20 mila cittadini italiani espulsi dalla Libia nel 1970. 
Che ora si «sentono beffati dalla Storia», come racconta Giovanna Ortu, presidente dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia (Airl). Quando prese il potere nella rivoluzione del 1970, Gheddafi espulse i cittadini italiani residenti in Libia e confiscò tutti i loro beni: era un «anticipo» sul «risarcimento per i danni coloniali» che l’Italia avrebbe dovuto pagare al suo Paese, spiegò il colonnello. 
Nessun rancore. «Capiamo benissimo che oggi la Libia offre importanti opportunità alle imprese italiane, e ne siamo lieti» dice Ortu. Che però aggiunge: «Ma la giustizia nei nostri confronti non può essere completamente sacrificata». 
La sua proposta è semplice: adesso che il governo italiano ha finalmente accettato di pagare i «risarcimenti coloniali» alla Libia, il valore dei beni confiscati agli italiani andrebbe risarcito. Almeno in parte. Non da Gheddafi, bensì dal governo italiano: «Se deve saldare i debiti con l’ex colonia, si faccia carico anche dell’acconto». 
I beni confiscati nel 1970 ammontavano a 400 miliardi di lire di allora. Che secondo i calcoli dell’Airl, basati sul coefficiente Istat (15), oggi varrebbero circa 3 miliardi di euro. Se si tiene conto però che lo Stato italiano ha già concesso qualche forma di indennizzo su base individuale, questa cifra scende a circa 2,9 miliardi di euro, sempre secondo le stime dell’Airl. 
«Noi però siamo realisti, e chiediamo molto meno» dice la presidente dell’associazione. Dopo calcoli e un dibattito interno, l’Airl è giunta alla conclusione che la cifra appropriata ammonta a circa 600 milioni di euro, «da stanziare in più annualità, con un provvedimento di indennizzo definitivo». 
Per richiederla, a partire dallo scorso 22 settembre l’associazione ha organizzato un presidio davanti a Palazzo Chigi: «E’ inaccettabile che proprio non che abbiamo perso tanto rimaniamo esclusi da questi negoziati vantaggiosi per tutti» sostiene Ortu. «In fondo non chiediamo mica un’autostrada».

Anna Momigliano