Famiglia Cristiana – 25 Settembre 2008

In attesa rischia di diventare interminabile. Ma loro, gli italiani di Libia, non mollano. Sono passati 38 anni da quando, salito al potere, il colonnello Gheddafi cacciò 20 mila italiani che vivevano e lavoravano in Libia, espropriandoli dei loro beni e delle loro attività nel Paese. «Nel 1970, quando fummo cacciati, io avevo trent’anni e abbiamo vissuto un dramma di vita», ricorda Giovanna Ortu, presidente dell’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia (Airl). «Nel 1976, Gheddafi era appena entrato nel capitale della Fiat investendo 360 miliardi di lire: noi italiani ne avevamo persi 400». Ma i rimpatriati non ce l’hanno tanto con Gheddafi, quanto con lo Stato italiano, che ancora non ha risolto la questione. Il problema è tornato con forza in occasione dell’accordo firmato a Tripoli da Berlusconi e dal Colonnello. «In parte siamo stati risarciti da un primo acconto. Ma dobbiamo ancora recuperare molto. Eravamo protetti da un Trattato del 1956 e quando Gheddafi lo ha violato, l’Italia non ci ha difesi. Non entriamo nel merito dell’accordo, ma vogliamo ciò che ci spetta. In questo, destra e sinistra sono bipartisan: nell’atteggiamento di ossequio verso Gheddafi, prima per il petrolio, ora per il problema dell’immigrazione».

Giulia Cerqueti