Sulla piastra di copertura una scritta in araba dice “Comune di Tripoli, rete fognaria”. La Smat vuole chiarire subito: “Non sono nostri, ma di qualche privato”. In città secondo gli addeti alla manutenzione sono una trentina i chiusini d’importazione.

LE INSEGNE dei negozi in caratteri arabi o cinesi sono comparse molti anni fa e hanno varcato da tempo i confini dei “quartieri ghetto”, ma che anche sulle strade di Torino fosse comparso l’alfabeto dell’altra sponda del Mediterraneo non sembrava finora essersene accorto quasi nessuno. 

Sulla ghisa dei tombini si erano visti il toro, la falce e il martello, ma la lingua del Profeta mai. Sul marciapiede di corso Belgio se ne contano almeno cinque, tutti uguali: le linee vergate sui chiusini davanti ai portoni sono comprensibili a pochi. “Le frasi sono due. Una significa rete fognaria, mentre l’altra ne attribuisce la proprietà al Comune di Tripoli” traduce l’arabista. Se invece li indichi ai torinesi la reazione è molto diversa: «Che ci fanno qui dei tombini arabi?” si chiedono ad esempio gli avventori del bar di questo angolo di corso Belgio, tra corso Tortona e via Mongrando.

Gli abitanti di Vanchiglietta ci camminano sopra tutti i giorni, ma in pochi li avevano notati. Tra loro c’è la titolare della panetteria El Aya: “Sono qui da prima che arrivassi, ogni tanto qualcuno entra e mi chiede conto di questo tombino — racconta — Io però non so perché li abbiano messi, c’è scritto Trablus, è in Libia. Se li saranno portati qua gli italiani quando è finita la guerra”. Le ipotesi sull’origine si sprecano: retaggio delle imprese coloniali o frutto della città multiculturale? Dalla Smat arriva una spiegazione diversa: “I chiusini sui marciapiedi non sono di nostra proprietà. I nostri sono tutti marchiati allo stesso modo — spiega l’amministratore delegato Paolo Romano — I privati spesso scelgono di mettere un pozzetto con la derivazione e il contatore sulla via e lo tappano con un tombino”. I tecnici della società che gestisce la rete si occupano di più di 300mila tombini su tutto il territorio: “Ci hanno segnalato la presenza di una trentina di chiusini simili a quelli di corso Belgio — dice ancora Romano — Con ogni probabilità facevano parte di una fornitura che una fonderia italiana doveva vendere al governo libico. Ne saranno avanzati alcuni esemplari che hanno rimesso sul mercato a prezzi scontati». Sul perché un pezzo di Libia sia stato trapiantato in Vanchiglietta, insomma, la certezza non c’è.