“Se in Libia non partirà prestissimo un vero dialogo politico la certezza è una sola: il paese sarà campo aperto per l’lsis che potrà dispiegare anche qui la sua minaccia. L’lsis di fatto è già presente in Libia: ci sono contatti continui, ci sono i gruppi eredi di AI Oaeda che stanno trattando con loro. Ci sono anche i primi miliziani che hanno combattuto in Siria e Iraq e adesso sono rientrati in Libia: hanno solo bisogno che il caos attuale, che la mancanza di controllo politico continuino per rafforzarsi. Poi sapranno loro cosa fare”. Bernardino Leon è il diplomatico spagnolo, ex collaboratore di Zapatero, che dal 10 settembre lavora come inviato Onu per la Libia; fino al giorno prima era stato l’uomo della Ue nel paese del dopo-Gheddafi. Sa tutto di quel paese. Ambasciatore, cos’è la Libia oggi? Qualcuno pensa che ormai sia impossibile rimettere inpiedi qualcosa che non esiste più. E poi: davvero la minaccia di Isis o AI Qaeda è così concreta?  “Dobbiamo rimettere in piedi la Libia, anche perché AI Oaeda è già presente. E quindi l’lsis lo è di fatto perché l’evoluzione della prima e il modus operandi dell’lsis ci dicono che basterà riorganizzare gli uomini che sono sul terreno, trasferire il “brand” e il sostegno dell’lsis perché ci sia una ulteriore radicalizzazione. Ci sono poi i gruppi presenti a Derna, quelli nel sud, al confine con l’Algeria, collegati a chi ha compiuto l’assalto ad Is Amenas. Cos’è la Libia? E’ un paese diviso, uscito da una rivoluzione ma dal quale la guerra non è scomparsa: il paese non è pacificato. E’ un paese importante per l’Europa, un paese vitale per l’Italia. Mettere fine a questo conflitto è difficile, perché i protagonisti sono centinaia di milizie senza una relazione gerarchica fra di loro”.Mentre si continua a combattere, soprattutto a Bengasi, l’Onu ha provato a lanciare un dialogo politico. “L’Onu in Libia sta cercando di fare il suo lavoro, devo dire con il forte sostegno del governo italiano. Lunedì scorso a Ghadames abbiamo organizzato un incontro di dialogo, il primo dopo parecchi mesi: molti hanno capito che l’unica soluzione è negoziare, parlare con quelli che fino ad oggi sono stati respinti e combattuti come nemici”.  Quali sono i gruppi principali, le fazioni fra cui provate a mediare?  “Il governo votato dal Parlamento legittimo controlla le città di Tobruk e Beida, nell’Est del paese. Le milizie alleate di Misurata invece controllano Tripoli, con un altro Parlamento e un altro governo, e a Bengasi combattono contro il generale Hafter. Le milizie di Zintan, che hanno perso il controllo dell’aeroporto di Tripoli, rimangono in alcune aree nell’Ovest del paese. Il Sud invece è soprattutto sotto il controllo di elementi locali. Come spesso dice il vostro ministro degli Esteri Federica Mogherini, la comunità internazionale propone di riequilibrare i principi di legittimità e il sostegno al legittimo Parlamento con il principio dell’inclusività: se vogliamo superare questa fase di conflitto  dobbiamo garantire che tutti i libici partecipino al processo politico”. Come si possono fermare i nuovi “signori della guerra” libici? “Noi proveremo a spiegare a tutte le fazioni, a tutte le milizie che devono rispettare quello che chiede la legge della comunità internazionale. Proveremo a convincerli. Altrimenti sono già pronte sanzioni, anche individuali, mirate su chi non rispetterà la legge internazionale. Adesso ci sono gli strumenti ella risoluzione 2174 dell’Onu. Siamo pronti a individuare queste persone, a  congelare i loro beni, i conti correnti, le case che possiedono nel mondo. Siamo pronti a vietare loro la libertà di viaggiare, ma anche ad inserirli anche nella lista di chi ha violato le leggi sui diritti umani, ad accusarli di essere dei criminali di guerra”.  Ambasciatore, ormai la Libia non solo sembra sull’orlo di una frammentazione irreversibile, ma è anche un paese in cui sono iniziati fenomeni di pulizia etnica, con famiglie intere costrette a muoversi da una regione all’altra. “Credo che la situazione attuale non sia irreversibile. L’unità, l’integrità territoriale della Libia sono cruciali. Tutti sappiamo che ci sono differenze storiche fra l’Est, l’Ovest e il Sud del paese. Ma io sono convinto che la stragrande maggioranza dei libici vuole un paese unito. Credo che sia ancora possibile tenere questo paese unito. E questo è il messaggio principale per  avviare un dialogo profondo nella fase che abbiamo davanti a noi”. Il ruolo di alcune potenze straniere: tutti dicono che Qatar e Turchia sostengono la fazione di Misurata, mentre gli Emirati, l’Egitto e l’Arabia Saudita sono schierati con quelli di Zintan. Cosa chiede a questi che sono tutti paesi membri dell’Onu? “Non c’è una soluzione militare in Libia. Nessuno è abbastanza forte da poter controllare il paese da solo, anche con un forte aiuto dall’esterno. Prolungare la guerra porterà solo a maggior caos, e noi non possiamo permettercelo. Per questo chiediamo a tutti gli attori internazionali di non sostenere lo scontro, ma il dialogo, l’unica soluzione possibile. Ho trascorso una settimana all’Assemblea generale Onu con la ministro Mogherini ripetendo esattamente  questo messaggio, spesso in incontri comuni, visto che questa della Libia è una delle priorità principali per l’Italia. E mi permetta di sottolineare il ruolo positivo che i paesi vicini stanno giocando nel sostenere il dialogo fra i libici”. Da settimane il governo italiano ha iniziato a dire proprio che bisogna smetterla di sostenere una fazione contro l’altra, chiedendo alla comunità internazionale di tenersi neutrale.  “Il governo italiano ha una posizione equilibrata; l’Italia è il riferimento della comunità internazionale in questa partita, è stata uno strumento decisivo nel creare il consenso internazionale necessario a spingere le Nazioni Unite ad essere più attive. Lavoriamo insieme, il ministro Mogherini è stata la prima persona che ho incontrato quando il 1 settembre sono diventato inviato del segretario generale Onu. Il vostro ministro, il suo team, il vostro ambasciatore a Tripoli sono i miei principali alleati. E sono sicuro che in questa nuova fase di implementazione l’Italia sarà sempre un partner molto attivo”.