Quando, a marzo del 2011, la comunità internazionale trovò legittimazione in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per fermare la guerra civile in Libia, Barack Obarna si mise alla testa di una coalizione di 19 Paesi, inclusi gli arabi del Qatar e degli Emirati Uniti, e in poco più di sei mesi il dittatore Muammar Gheddafi scomparve dalla scena, ucciso dai rivoltosi.Sembrò, alJora, che la teoria delJo smart power, miscela di forza militare esclusivamente aerea, larghe alleanze e diplomazia sempre pronta, fosse la strada migliore per affrontare crisi internazionali.Risultato? Finiti i bombardamenti, la  comunità internazionale si ritirò accettando un simulacro di elezioni e governo, e la Libia oggi è nel caos completo con i gruppi armati, molti dei quali si richiamano all’islamismo duro e puro, che si sono spartiti il Paese, mentre il governo e il parlamento, disconosciuti da tutti, sono asserragliati in un bunker. Quella politica ha fallito soprattutto perché non basta una risoluzione Onu e una salva di missili se poi non ci sono anche investimenti in educazione, lavoro e sviluppo per trasformare una dittatura in una democrazia. Adesso, quel modello è stato ripreso, rispolverato un po’ e riadattato a una crisi ancora più complessa e più grave di quella libica: smart power, grande alleanza internazionale ed uso di aerei e missili sono stati messi in campo per affrontare lo Stato Islamico, un gruppo che è cresciuto con la guerra civile in Siria e che adesso ha occupato pezzi importanti della Siria e dell’Iraq. Sono musulmani sunniti,sonocontro tutti, a cominciare dagli Stati Uniti e i Paesi occidentali, vogliono il califfato e hanno ucciso a sangue freddo gli ostaggi occidentali e massacrato sciiti, curdi e yazidi.

ALL’INIZIO DELLA CRISI il presidente Barack Obama disse, letteralmente, «non abbiamo ancora una strategia», mentre adesso ha lanciato F18,missili Tomahawak e droni contro le basi dello Stato Islamico in accordo con 19 Paesi, di cui molti arabi come Qatar, Emirati, Barhein,Arabia Saudita, Egitto. Ogni giorno puntuale un comunicato di Centcomm, il comando strategico Usa, elenca gli obiettivi distrutti. Il presidente Obama, parlando mercoledì 24 settembre nell’assemblea generale della Nazioni Unite e invitando a una coalizione mondiale contro I ‘IS, ha detto che la partita non sarà semplice e durerà a lungo. Quanto? Neanche Obama lo sa. Ma quando i bombardieri e i droni torneranno alle loro basi, quando le navi e i sottomarini non lanceranno più missili sugli obiettivi dello Stato Islamico e delle altre bande qaediste, è assai probabile che sul terreno resteranno ancora irrisolte le contraddizioni che hanno aperto la strada al terrorismo: in  Iraq ci sarà sempre la guerra religiosa (e dipotere reale) tra sciiti e sunniti e il perenne sospetto che i curdi vogliano fare da soli con un governo incapace di costruire un minimo di unità tra le fazioni; in Siria la dittatura di Assad, oggi supportata dall’Iran e dalle formazioni libanesi di Hezbollah, avrà ricevuto un aiuto insperato proprio da Washington, mentre la popolazione che chiedeva solo il cambiamento e la democrazia resterà schiacciata tra la violenza del dittatore e le bande islamiste.  È ALLORA ESSENZIALE per la sicurezza di tutti (e soprattutto per le popolazioni civili di Siria e Iraq che hanno già pagato un conto salatissimo in termini di morte, di famedi forzato abbandono delle lorocittà) che l’avventura della coalizione guidata dagli Stati Uniti non porti a un risultato identico a quello della Libia. E speriamo anche di non risentire Barack Obama ripetere quello che solo ad agosto scorso ha detto riflettendo sull’intervento in Libia: «Ritengo che noi e i nostri partner europei abbiamo sottostimato la necessità di essere presenti in forze il giorno dopo la morte di Gheddafì quando tutti rano felici e dicevano “Grazie America”. In quel momento ci doveva essere uno sforzo massiccio per ricostruire una società che non aveva tradizioni di democrazia. Ecco questa è la lezione da seguire ogni volta che chiedo: dobbiamo intervenire militarmente? Abbiamo una risposta per il giorno dopo?».