Per contribuire al dibattito sul futuro della Libia e le implicazioni che l’instabilità del paese nordafricano può generare per l’Europa e l’Italia, l’ISPI e le commissioni Difesa e Affari Esteri del Senato hanno promosso il seminario internazionale “Libia: l’ora delle scelte”. L’evento si è svolto il 7 maggio alla presenza di Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, Marco Minniti, sottosegretario per la Sicurezza della Repubblica, Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa del Senato, e Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, e ha coinvolto esperti, politici e diplomatici italiani e stranieri. La fragile situazione politica libica rappresenta uno dei fattori di maggiore criticità nell’area del Mediterraneo e influenza gli sforzi internazionali tanto nella lotta al terrorismo jihadista quanto nelle politiche per la gestione dell’emergenza immigrazione. Tra i punti del piano europeo per limitare gli sbarchi dei migranti illustrato al Consiglio di Sicurezza dall’Alto Rappresentante dell’Ue Federica Mogherini, uno degli aspetti più problematici è infatti costituito dalla proposta di avviare missioni di sicurezza e difesa contro trafficanti e scafisti in Libia. Sebbene la diplomazia europea si mostri sufficientemente ottimista riguardo all’approvazione del piano, il nodo più difficile da sciogliere resta la netta opposizione da parte di entrambi i governi libici, quello di Tobruk (riconosciuto internazionalmente) e quello di Tripoli, i quali temono che l’azione europea possa compromettere ulteriormente la già precaria sovranità della Libia.
Quali sono i punti di maggior contrasto tra i due governi libici?
Secondo Mustafa Abushagur, vice primo ministro 2011–2012, la futura organizzazione dello stato e l’identificazione dei gruppi terroristi e della strategia per combatterli sono gli elementi che maggiormente ostacolano il dialogo tra i due governi. La pressione esercitata dalla popolazione libica, ormai stanca di privazioni e conflitti, potrebbe essere però un efficace incentivo per sbloccare la situazione.
Cosa può spingere i due governi verso l’accordo?
Secondo Fadel Lamen, presidente della commissione per il Dialogo Nazionale in Libia, è necessario che i rappresentanti dei due governi si rendano conto dell’urgenza di trovare un accordo e di rispondere alle esigenze concrete della popolazione libica. Tuttavia, senza un ruolo più attivo della comunità internazionale, tanto nella fase di discussione quanto in quella di implementazione, difficilmente i policy maker libici potranno superare le divergenze nella discussione riguardo alla divisione dei poteri e alla rappresentanza politica.
Quali chance per la riconciliazione politica?
Secondo Abdurahman Alageli, fondatore Libya Youth Forum e già consigliere del governo libico, è fondamentale coinvolgere nel processo di dialogo anche gli attori non–politici quali i rappresentanti delle tribù, delle associazioni e delle forze armate. Se in un primo momento questo potrebbe allungare i tempi della discussione, avrebbe tuttavia il beneficio di garantire maggiori chance di successo alla fase di implementazione di quanto deciso al tavolo negoziale. Solo in questo modo, dopo un periodo di governo di unità nazionale, si può realmente pensare di costruire una nuova Libia post–Gheddafi e post–rivoluzione.
Quale ruolo per la comunità internazionale?
Gli attori regionali ed europei possono svolgere un ruolo molto importante per incentivare il processo di stabilizzazione della Libia. Oltre che sostenere unanimemente i colloqui in atto in Marocco, la comunità internazionale dovrebbe attivarsi per interrompere il flusso di armi e capitali che arrivano in Libia. Queste azioni, afferma Claudia Gazzini dell’International Crisis Group, potrebbero fornire gli incentivi necessari ad attenuare il clima di ostilità tra i due governi.
Quanto è radicata la presenza di ISIS in Libia?
Nonostante la presenza dell’ISIS sia uno degli elementi mediaticamente più discussi quando si parla di Libia, Wolfram Lacher, ricercatore SWP, ricorda in questa intervista come il fenomeno jihadista nel paese abbia ancora una dimensione piuttosto limitata territorialmente: molto forte e radicato in alcune città ma assente in altre realtà. Il vero problema non consiste quindi nella possibilità, remota secondo Lacher, che ISIS possa occupare l’intero territorio libico quanto nella solidità dei legami sociali che i suoi miliziani hanno instaurato nelle realtà locali, che amministrano e che potrebbero a lungo termine condizionare il futuro del paese.
Nota per il Parlamento – Libia: non solo Stato Islamico
In un rapporto compilato per l’Osservatorio di Politica Internazionale del MAECI–Parlamento, Arturo Varvelli, ricercatore ISPI, mette in luce come il periodo estremamente critico che la Libia sta attraversando abbia cause profonde e origini lontane, che vanno da una debole identità nazionale libica alle eredità della guerra civile del 2011, che non si è esaurita con la caduta del regime e l’uccisione di Gheddafi. Per diversi motivi il paese è quindi rapidamente scivolato verso una situazione caotica della quale stanno approfittando gruppi terroristici e organizzazioni criminali internazionali.