“Il governo Renzi aveva tutti gli strumenti per impedire che la situazione in Libia degenerasse e non lo ha fatto.
Ora ci sono due governi e una miriade di fazioni in lotta, con l’Isis nel ruolo di terzo incomodo che rischia sempre di più di diventare la vera forza dominante del Paese”. E’ l’analisi di Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, dopo l’allarme lanciato dall’inviato dell’Onu, Bernardino Leon. “I libici devono essere consapevoli che se non si arriva a un accordo in poche settimane il Paese collassa – le sue parole -. Le mafie dei trafficanti di esseri umani prosperano in Libia perché c’è il caos”.

Micalessin, che cosa ne pensa delle dichiarazioni dell’inviato Onu Leon?

Leon si sta rendendo conto che la sua missione è allumicino. Per mesi si era illuso di poter portare a compimento il suo intervento di mediazione, attraverso una serie di colloqui con entrambe le parti. Fin dall’inizio però né il governo legittimo di Tobruk né la coalizione islamista al potere a Tripoli avevano alcun interesse a scendere a patti e arrivare alla formazione di un governo di unità nazionale. Hanno trascinato Leon in questo balletto di colloqui senza risultati e oggi l’inviato dell’Onu deve fare i conti con la realtà di una missione fallimentare.

Per Romano Prodi, un intervento in Libia è da evitare perché “è proprio ciò che l’Isis vuole: attirare soldati occidentali nella guerra civile islamica”. E d’accordo con lui?

Un intervento diretto di truppe italiane nel caos libico avrebbe come prima conseguenza il fatto di attirarci l’accusa di essere una grande potenza che ritorna a esercitare il suo ruolo coloniale. L’Isis avrebbe facile gioco nell’utilizzare questo pretesto per guadagnare ulteriori consensi e giustificare le proprie operazioni contro i militari della coalizione internazionale presente sul territorio.

Sempre per Prodi “il fatto che in Libia ci siano più governi dipende soprattutto dai governi stranieri che li appoggiano” …

Prodi ha ragione, la coalizione islamista al potere a Tripoli è sicuramente figlia delle aspirazioni geopolitiche di Turchia e Qatar che appoggiano i Fratelli musulmani e altri gruppi più estremisti al potere. Mentre chi più appoggia il governo legittimo di Tobruk è l’Egitto del generale Al-Sisi. In Libia però ci sono più governi soprattutto perché nessuno ha mosso un dito quando la coalizione islamista lo scorso agosto ha preso il potere con le armi a Tripoli, cacciando il governo legittimo.

A chi si riferisce?

Il primo a non fare nulla è stato il governo Renzi, che all’epoca aveva una sorta di investitura internazionale da parte del consesso dei cosiddetti “Amici della Libia”. Soprattutto durante il semestre italiano di presidenza europea, avremmo sicuramente avuto la possibilità di intervenire in modo più agevole.

Quali sono in questo momento le forze in campo?

Quello che è in atto in Libia è uno scontro tra gruppi ideologici, che vede contrapposti i Fratelli musulmani contro i laici capeggiati da Mahmoud Jibril; tra città-Stato, con la coalizione di Zuara, Tripoli e Misurata contro quella di Zintan e Tobruk; tra tribù che insanguinano varie parti del Paese. A ciò si aggiungono divisioni interne agli stessi campi, come per esempio tra Misurata e Tripoli che pure fanno parte della stessa coalizione. Senza contare l’Isis, che rappresenta il terzo incomodo e che come prospetta lo stesso Leon potrebbe diventare la vera forza dominante del Paese.

Dopo la presa di Palmira, Gentiloni ha dichiarato: “Occorre rivedere la strategia anti-Isis”. Che cosa non sta funzionando?

Non sta funzionando nulla. La caduta di Ramadi e Palmira è il sintomo di una strategia completamente sbagliata.
Si è pensato di poter abbattere lo stato islamico con una serie di operazioni aeree assolutamente inefficaci, condotte senza determinazione. Si è messa insieme una coalizione di Paesi arabi che non ha come principale interesse quello di combattere lo stato islamico. La caduta di Ramadi è il chiaro esempio del fatto che le truppe su cui fanno affidamento gli Usa non sono motivate.

Di che cosa ci sarebbe bisogno?

Ci sarebbe bisogno del cosiddetto “surge”, cioè la rimonta resa possibile dalla strategia del generale Petraeus. Per contrastare Al Qaeda erano state armate e appoggiate le tribù sunnite, cui era stato dato un ruolo importante dal punto di vista politico ed economico. L’amministrazione Obama si è completamente dimenticata che la strada da seguire era questa. Si è affidata a un governo irakeno dominato dalla componente sciita, che continua a essere vista come il fumo negli occhi dalle tribù che abitano in quei territori dove si combatte.