Saif condannato a morte. Ma le brigate di Zintan possono mettersi di traverso. Saadi in cella. Safia e Aisha al sicuro. Ahmed in Egitto. La diaspora del clan.

 

Saif al Islam, secondogenito e delfino di Muammar Gheddafi, è stato condannato alla fucilazione dal Tribunale di Tripoli, con altri otto esponenti del vecchio regime.
Primo tra tutti il cognato dell’ex rais libico e storico capo dell’intelligence Abdullah al Senussi, ricercato come Saif dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità.
Ma difficilmente l’erede del Colonnello finirà davanti al plotone d’esecuzione.
La sua salvezza è essere stato imprigionato da una delle brigate di Zintan che si oppongono agli islamisti della capitale.
Quando fu catturato in Libia nel 2011, mentre era in fuga verso il Niger, dalle forze allora unite del Consiglio nazionale di transizione (Cnr), l’odio nei suoi confronti era forte.
ZINTAN CONTRO LA CONDANNA. I ribelli di Zintan mozzarono a Saif (la «spada dell’islam» il suo nome in arabo) le dita della mano che beffardamente, esplosa la guerra, mostrava sempre in segno di vittoria.
Poi il quadro è cambiato. L’opposizione libica si è frastagliata in una miriade di milizie armate, per la maggior parte facenti capo ai due governi in lotta: l’autoproclamato a Tripoli e l’esiliato a Tobruk.
Zintan sta con Tobruk e il generale Haftar, e attorno a loro si sono ricompattati anche gli ex gheddafiani.
FUCILAZIONE PER AL SENUSSI. Trasformato in un detenuto d’oro, Saif ha partecipato alle udienze del suo processo solo in video, rimandate più volte mentre esplodeva la guerra civile.
Le autorità della cittadina a 150 chilometri a Sud-Ovest di Tripoli si sono sempre rifiutate di consegnarlo e alla sentenza non lo hanno mostrato neanche in collegamento: gli islamisti nella capitale sono i loro nemici.
A un destino diverso andranno incontro, probabilmente, al Senussi e Saadi Gheddafi, l’altro figlio del raìs politicamente assai meno influente ma famoso in Italia per aver giocato nel Perugia e nella Sampdoria. Entrambi estradati, sono detenuti a Tripoli.

Saif al Islam Gheddafi, 43 anni, fu catturato nel novembre di quattro anni fa dalla brigata Abu Bakr al Siddiq ed è incarcerato a Zintan.
Per i primi 21 mesi è rimasto in isolamento in un luogo segreto, senza vedere avvocati né partecipare alle udienze preliminari.
TOBRUK CONTRO LA CONDANNA. Considerato un riformista prima dell’esplosione delle rivolte – a lui si devono le trattative con gli islamisti fino alla liberazione di gran parte dei loro detenuti -, Saif fa ora comodo al generale Haftar e alle milizie alleate, sa dove sono i soldi e gli asset di famiglia che alimentano il conflitto libico.
Il governo di Tobruk ha dichiarato di considerare «illegittima» la sua condanna a morte di Tripoli. Altro membro di punta del clan è il cugino del Colonnello Ahmed Gheddafi al Dam, esiliato in Egitto dove si era rifugiato nel 2011.
I giudici di Tripoli ne chiedono invano l’estradizione.
Incarcerato durante la breve parentesi della presidenza islamista del deposto Mohammed Morsi, dall’estate 2013 l’ex esponente di regime vive protetto al Cairo dai generali che appoggiano, anche militarmente, il governo libico di Tobruk.
VUOLE L’ISIS AL TAVOLO DI RICONCILIAZIONE. Accusato di aver comandato battaglioni d’élite e pianificato le operazioni contro i dissidenti libici all’estero, dall’Egitto Ghaddafi al Dam ha chiesto «armi» per il generale Haftar e un tavolo di «riconciliazione nazionale» che includa anche «l’Isis».

Nel 2012 è stato invece estradato dalla Mauritania, dove era scappato travestito da tuareg, il capo dell’intelligence di Gheddafi Abdullah al Senussi. Anche lui condannato a morte.
Il 65enne è accusato di essere una delle menti del massacro di 1.200 prigionieri, per lo più islamisti, nel carcere di Abu Salim, nel 1996.
RICERCATO PER GLI ATTENTATI PAN AM E DC-10 UTA. Ma è anche il sanguinario braccio destro di Gheddafi, superricercato dai servizi inglesi, americani e francesi per gli attentati ai voli di linea Pan Am 2013, esploso nei cieli scozzesi di Lockerbie, e Dc-10 Uta, colpito da una bomba mentre sorvolava il Niger.
Stragi insolute degli Anni 80 come quella italiana di Ustica, sulle quali al Senussi avrebbe molto da dire.

Nelle carceri di Tripoli è rinchiuso anche il figlio calciatore del rais, Saadi Gheddafi, ex imprenditore e presidente della Federcalcio libica
Nel 2014, l’ex rampollo 42enne è stato estradato dal Niger dove era fuggito subito dopo le rivolte, lasciando i fratelli minori Mutassim, Saif al Arab e Khamis (i primi due uccisi, il terzo dato ripetutamente per morto) a combattere in Libia.
IMPUTATO PER OMICIDIO. Saadi non è a processo insieme a Saif e agli altri esponenti di punta del regime, ma è imputato per l’omicidio di un calciatore libico e anche ricercato dall’Interpol per diversi reati.
Nel penitenziario di al Hadhba, a Tripoli, ha subito un trattamento duro e, specie in mancanza della testa di Saif al Islam, rischia la pena capitale.

Gli altri figli della famiglia decimata di Gheddafi sono al sicuro.
Nel 2011 la 39enne Aisha, avvocatessa ed ex ambasciatrice libica all’Onu, riparò in Algeria, attraversando il Sahara con i fratelli maggiori Mohammed e Hannibal (primogenito del rais e della precedente moglie Fatima) e la madre Safiya.
IL SULTANATO CONCEDE L’ASILO POLITICO. Sotto sanzioni internazionali per i loro beni di proprietà, non sono ricercati dal Tribunale penale internazionale dell’Aja e neanche Tripoli ha chiesto la loro estradizione.
Nella guerra di quattro anni fa Aisha ha perso il marito e due dei tre figli piccoli. Nel 2012, dopo aver dato alla luce il quarto, è volata con la madre e i fratelli nel sultanato arabo di Oman, che ha concesso loro asilo politico.