«Ottennero il regno della gloria e la mano del Signore li protegge», recitava una scritta sul piazzale principale del sacrario. Ma, nonostante l’auspicata «protezione» divina, il cimitero cattolico italiano di Tripoli «Hammangi» è stato più volte vittima dei vandali. L’ultima, nei giorni scorsi, quando è stato nuovamente profanato e devastato. A rivelarlo è stata Giovanna Ortu, presidente dell’Associazione Italiani rimpatriati dalla Libia. «Purtroppo non è una notizia nuova», ha detto, ricordando i numerosi episodi in cui il cimitero, dove riposano le salme di ottomila italiani, è stato oggetto di un raid teppistico. È, però, una notizia tanto più dolorosa nel giorno Ognissanti, alla vigilia della ricorrenza della Commemorazione dei defunti. L’Airl, che si è ripetutamente presa cura del cimitero e si era anche interessata per una possibile traslazione di tutte le salme in Italia.

«Oggi tuttavia vorrei pensare soprattutto alla pacificazione e ai vivi, piuttosto che al sacrificio di questi morti, che non hanno trovato pace», ha sottolineato Ortu. «Da quando noi ce ne siamo andati nel 1970, il cimitero, completamente abbandonato e trascurato dalle autorità italiane impegnate a fare affari con Gheddafi, è stato saccheggiato ripetutamente, anche se si è trattato di piccoli furti di rame o altro materiale – ha proseguito la presidente Airl – Nel 1971, su richiesta dello stesso Gheddafi che dopo aver espulso i civili, non voleva che neanche i corpi dei militari tricolori restassero sul suolo libico, le salme di migliaia di nostri soldati furono trasferite in nave nel sacrario di Bari».

Nella struttura tripolitina, dunque, restano solo ossa e resti di connazionali civili e l’Airl se ne è occupata sempre, quando è stato possibile. «Nel 2004 – ha ricordato Ortu – abbiamo avuto un finanziamento di 90.000 euro da Banca Intesa e siamo tornati in Libia per organizzare un restauro del cimitero. Abbiamo raggruppato i resti dei defunti e restituito dieci ettari di terreno alla municipalità di Tripoli. Inoltre, avevamo in programma di raccogliere le salme italiane seppellite nei camposanti di piccoli centri urbani e portari nel sacrario. Però, nel 2011, c’è stata la guerra e la “rivoluzione” – ha concluso la presidente – e non è stato possibile realizzare il nostro progetto. Contemporaneamente, con il caos di cui è stato preda il Paese, i vandalismi sono aumentati, fino all’ultimo che ritengo sia recentissimo e definitivo, visto i danni che si intuiscono dalle immagini che abbiamo ricevuto sabato scorso».

Il recente raid vandalico ha provocato reazioni da parte di istituzioni ed esponenti politici. Il ministero degli Affari Esteri ha fatto sapere di deplorare «l’ennesima barbara profanazione del cimitero cattolico italiano Hammangi di Tripoli da parte di sconosciuti. La profanazione di un luogo sacro è un gesto vile, di profonda inciviltà e intolleranza – recita il comunicato della Farnesina – tanto più grave perché perpetrato oggi, quando in Italia e in altri Paesi è consuetudine recarsi nei cimiteri a rendere un saluto ai propri cari defunti». La deputata del Pd Gea Schirò si è detta «addolorata» nell’apprendere «che il cimitero» è «stato di nuovo devastato: è un gesto di inciviltà che mette in evidenza come in Libia occorre sostenere con ancora più determinazione gli sforzi per portare a compimento un processo democratico che è sempre sotto minaccia, a iniziare da quella delle guerre interne al Paese e dell’Isis, che strumentalizza l’immigrazione, facendo leva sulla disperazione di tante persone», ha dichiarato Schirò.

Difficile dire se dietro la devastazione del sacrario italiano ci siano motivi «politici». Il Paese è nel caos da quattro lunghi anni, con bande tribali che si contendono il territorio e il governo e i terroristi dello Stato islamico che mestano nel torbido. Tutto è possibile. Anche che l’«allarme» lanciato dalle «autorità» libiche sulla presenza di navi italiane nelle acque territoriali della nazione africana abbia provocato una reazione «autarchica» contro il nostro cimitero. Una vendetta sulle ossa calcinate dei nostri morti per punire i vivi. Ma si tratta di un’ipotesi peregrina, senza elementi a suo supporto e tutta da verificare.