Fabrizio Rondolino, sul cui curriculum non spenderò una parola, utilizza lo spazio concessogli su un quotidiano dalla grande tradizione storica come l’Unità per impartire lezioni di giornalismo, di storia e di senso dello Stato.
Rispetto all’intervista concessa da Romano Prodi al Fatto Quotidiano, alle risposte e alle domande poste dall’autore di questo post, mi limito a ricordare alcune cose.
15 agosto 2011. Thabo Mbeki, ex presidente sudafricano, presiede il Forum africano dei capi di Stato e di governo del continente. Scrive una lettera “confidenziale” al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per la necessità di “passi urgenti per facilitare il processo di passaggio della Libia e la fine della guerra civile, per salvare la Libia dalle violenze che potrebbero produrre una catastrofica situazione”. Quale soluzione indica Mbeki all’Onu? “Romano Prodi mediatore internazionale con mandato delle Nazioni Unite, perché conosce i principali attori coinvolti nella crisi a Tripoli e Bengasi, perché conosce i leader delle principali tribù, che anche hanno fiducia in lui. Perché conosce da vicino la situazione libica, di cui si è occupato per molti anni da primo ministro italiano e da presidente della Commissione europea dell’Ue. E perché è riconosciuto da tutte le parti coinvolte dal conflitto libico come una importante personalità capace di una azione indipendente”.
20 agosto 2011. Sono venticinque i capi di Stato e di governo africani – rappresentanti di Nigeria, Sud Africa, Botswana, Burundi, Mozambico, Mauritius, Benin, Capo Verde, Malawi, Tanzania, Zambia, Namibia, Ghana, Liberia oltre ai rappresentanti di Unione africana, Commonwealth, African development bank e Un economic commission for Africa – che firmano un documento in cui chiedono alle Nazioni Unite “la nomina di Prodi mediatore internazionale per cercare una soluzione politica alla crisi e avviare un fattivo processo di stabilizzazione, per fare ogni sforzo nella direzione della riconciliazione”.
All’inizio del 2012, Gheddafi già deposto e ucciso, Ali Alahwai, segretario dell’Associazione delle tribù libiche (Warfala, Awageer, Arifahm, Tripoli, Seaan, Hrabah, Mgarha e Ashraf Garian), scrive un altro appello per Prodi mediatore a Ban Ki-moon, al presidente della Commissione dell’Unione Africana Jean Ping e all’alto commissario per gli Affari esteri dell’Unione europea. Catherine Ashton: “La nostra grande preoccupazione è l’esclusione di centinaia di migliaia di persone dal processo politico e dalle elezioni politiche. Abbiamo inviato una lettera al professor Romano Prodi chiedendogli il suo aiuto per iniziare un dialogo di riconciliazione, perché lui ha fatto tanto per il popolo libico durante la sua presidenza della Commissione europea e anche come primo ministro italiano, mantenendo sempre una posizione realmente indipendente nelle relazioni con tutte le fazioni politiche durante il conflitto e anche perché egli ha sempre mantenuto contatti con le Tribù libiche. Per queste ragioni noi crediamo che il presidente Prodi possa essere la persona giusta per giocare un ruolo di mediatore e facilitare il dialogo all’interno del nostro Paese”.
Estate 2014. Un nuovo appello che invoca, quasi supplica, un intervento di Prodi come mediatore sotto bandiera Onu arriva dal primo ministro libico Abdullah al-Thani, sottoscritto anche da capi tribù in lotta fra loro. Le Nazioni Unite, Ban Ki-moon in primis, sono stati più volte vicini a rispondere positivamente agli appelli provenienti dalla Libia. La cosa incredibile, è che a opporsi, più volte, è stata l’Italia, con i primi ministri Silvio Berlusconi (ben sostenuto dal presidente francese Nicolas Sarkozy) e Matteo Renzi.
Il tentativo di Rondolino, mi scuso per nominarlo ancora, di accomunare i rapporti di Berlusconi con Gheddafi a quelli di Prodi con Gheddafi lascia il tempo che trova. L’ex Cavaliere ha dimostrato di essere più interessato all’esibizione delle “amazzoni”, mentre il Professore è stato riconosciuto da mezzo mondo come possibile risolutore del conflitto nordafricano. Un’occasione persa per tutti.