il vice presidente del Congresso Nazionale Generale (Gnc) di Tripoli, Awad Abdul Saddeq, ha firmato con il deputato di Bengasi al parlamentino di Tobruk, Ibrahim Amash, un documento di intesa per la costituzione di un governo di unità nazionale

Libia: nonostante nuovi, ma confusi, segnali di dialogo, il caos politico resta sovrano e apre la strada all’infiltrazione dei jihadisti di Isis da Siria e Iraq. Sembra un accordo zoppo quello firmato ieri a Tunisi tra alcuni esponenti delle fazioni che fanno capo al governo di Tripoli e altre a quello di Tobruk. A prima vista la notizia comparsa sul sito di informazioni Libya Herald parrebbe buona: il vice presidente del Congresso Nazionale Generale (Gnc) di Tripoli, Awad Abdul Saddeq, ha firmato con il deputato di Bengasi al parlamentino di Tobruk, Ibrahim Amash, un documento di intesa per la costituzione di un governo di unità nazionale. Vi si prospetta la creazione di un comitato di dieci persone (cinque deputati di ognuna delle due parti) che entro due settimane dovrebbero scegliere il premier e due vice-presidenti. E ciò in parallelo all’opera di mediazione per una coalizione unitaria voluta dall’Onu già quasi un anno fa e iniziata dall’ex inviato speciale del Palazzo di Vetro, il diplomatico spagnolo Bernardino Leon (dimesso il 16 novembre), e adesso proseguita dal tedesco Martin Kobler. «Noi vorremmo creare il nostro governo in modo autonomo, senza interferenze esterne», dicono i sostenitori dell’iniziativa. Ieri Kobler si è affrettato a plaudire alla cosa. Ma è il classico buon viso a cattivo gioco.

Nessuno controlla nessuno

Il problema è infatti che ormai in Libia nessuno controlla nessuno. L’anarchia regna sovrana e qualsiasi parvenza di autorità centrale, o parziale che sia, viene metodicamente messa in dubbio dalla miriade di tribù, milizie e centri di potere locali in lotta tra loro. Mentre dunque a Tunisi avvenivano gli incontri tra fazioni frondiste dei due parlamenti, lo stesso Kobler vedeva il presidente del governo di Tobruk, Ageela Salah Gwaider, il quale pare fosse ignaro dell’iniziativa parallela dei suoi compagni di cordata. Una possibile spiegazione è che ormai larga parte dei libici rifiuta la legittimità dei due parlamenti rivali e i loro membri cercano dunque in modo autonomo di ricostruirsi un futuro politico. Si spiegano così anche le recenti aperture di alcune fazioni di Tobruk nei confronti di Seif Al Islam, il figlio più politico di Gheddafi oggi imprigionato a Zintan. Una mossa che vede l’opposizione di Tripoli, ma anche di ampi settori delle milizie legate a Tobruk.