«Non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo. Nell’ultimo mese abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi. Non parlerei di accelerazioni, tanto meno unilaterali: siamo tutti d’accordo che occorre evitare azioni non coordinate, che in passato non hanno prodotto buoni risultati. Ma c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazioni e stesura di piani possibili di intervento sulla base dei rischi prevedibili».
Roberta Pinotti pesa una per una le parole. Troppe volte negli ultimi giorni un intervento militare contro le postazioni di Daesh-Isis in Libia è stato dato per imminente, anche in assenza di una richiesta formale, che lo stallo politico sull’insediamento del governo di unità nazionale impedisce di concretizzare. Il ministro della Difesa è appena tornata dall’aeroporto di Ciampino, dove ha accompagnato il presidente iraniano Rouhani, al termine della sua visita italiana.
Lei conferma che la situazione in Libia desta maggiore preoccupazione?
«La preoccupazione era presente e costante anche nei mesi precedenti. Anzi, rispetto ad allora e nonostante le difficoltà, il processo politico non solo non si è fermato ma è andato avanti. Ma non c’è dubbio che alcuni sviluppi vadano seguiti con attenzione: alcune sconfitte di Daesh in Iraq possono infatti spingere lo Stato islamico a fare della Libia un nuovo fronte, mentre si registra il tentativo, spesso più simbolico che di sostanza, da parte dei jihadisti di avanzare verso nuovi territori dalle zone di Sirte e dintorni, dove Daesh è stata finora concentrata. Il tempo sicuramente stringe».
Però si continua a insistere che siano i libici a chiedere un eventuale intervento.
«Al recente vertice di Parigi tra i ministri della Difesa della coalizione anti-Isis, dove io ho fatto la relazione sulla Libia, c’è stata totale condivisione su questo. Un governo operativo è indispensabile per evitare scenari come quello sperimentato in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Non dobbiamo fornire argomenti alla propaganda jihadista, che avrebbe interesse a presentare qualsiasi azione come una invasione occidentale. Il percorso della coalizione segue i tempi del processo politico e si prepara a fornire il tipo di aiuti che i libici hanno già indicato di preferire: protezione del governo quando si insedierà a Tripoli, formazione e addestramento».
Intanto Isis avanza e si rafforza.
«Per questo stiamo valutando con gli alleati quali sono le necessità nel caso di un’emergenza. La stessa missione Mare Sicuro, nata come operazione anti-scafisti, prevedeva sin dall’inizio l’eventualità della lotta al terrorismo: ci dà infatti una capacità di intervento nel caso di rischi per le nostre piattaforme o di altro genere. Per lo stesso motivo abbiamo già spostato degli aerei a Trapani e costantemente aggiornato la raccolta di informazioni sul terreno. In ogni caso nessuno pensa che questa accelerazione possa avvenire per decisione militare che non sia parte di una decisione politica».
Ma c’è una impazienza americana in questa fase?
«Ripeto, c’è maggiore preoccupazione, dettata da fattori reali».
L’Italia rimane in prima fila nella missione libica in ogni eventualità?
«Certo. Il ruolo di guida nella missione libica ci viene riconosciuto perché siamo fra i Paesi che hanno qualcosa da dire. L’impegno e la professionalità mostrati nelle missioni militari sono alla base della grande considerazione e rispetto di cui gode l’Italia negli Stati Uniti e nella comunità internazionale».
Il governo italiano ha annunciato l’invio di 450 soldati a protezione dei lavori alla diga di Mosul. A che punto siamo? Non risulta ci sia stato un seguito.
«Il governo ha dato la sua disponibilità. Ci sono tempi necessari per concretizzare le procedure. Gli iracheni hanno individuato nell’italiana Trevi la ditta in grado di fare questo lavoro, enorme e pieno di rischi. Non è stato ancora firmato il contratto. Abbiamo fatto un sopralluogo e il numero di 450 per garantire la sicurezza dei lavori nasce da questo. Tenga presente che il cantiere si troverà in territorio controllato dai curdi, ma a poca distanza dalle zone dominate da Daesh».
È vero che ci sono riserve irachene all’invio dei militari?
«Mi risulta che ci sia un dibattito aperto nella coalizione di governo, ma le voci che ci sono giunte sono di gradimento e ringraziamento».
L’Italia è un Paese sicuro?
«L’Italia è esposta agli stessi rischi cui sono esposti altri Paesi europei. Non possiamo immaginare di essere immuni da possibili azioni terroristiche. Ma non ci siamo mossi sull’emergenza: voglio ricordare l’operazione Strade Sicure, i provvedimenti del governo che ci hanno consentito di effettuare determinati arresti, le forze speciali che lavorano accanto a carabinieri e polizia, il coordinamento anti-terrorismo che funziona da tempo a Palazzo Chigi».