Impegnati in un’operazione anti bracconaggio, sarebbero stati ammazzati per errore dai ranger. Forse scambiati per cacciatori di frodo

PADOVA Tragedia nello Zimbabwe: padre e figlio sono stati uccisi in una riserva di caccia. Si tratta di Claudio Chiarelli di 64 anni, originario di Padova e Massimiliano di 28, nato nel Paese africano. Il 64enne era un cacciatore di professione e faceva la guida nei safari da decenni ed era impegnato da tempo nel programma di volontariato in aiuto del National Park locale. I due sarebbero stati coinvolti dai guardiaparchi locali in un’operazione contro i cacciatori di frodo nell’area di Mana Pools al nord dello Zimbabwe e ai confini con lo Zambia, da alcune stagioni patrimonio dell’Unesco e una delle aree protette più spettacolari del Paese. Ad ucciderli per errore potrebbero essere state le stesse guardie della riserva anche se sulla dinamica della tragedia non c’è ancora chiarezza e non si escludono al momento altre ipotesi.

La notizia, filtrata dalla Farnesina, è giunta in Italia nella tarda serata di domenica. Il ministero degli Esteri si è messo subito in contatto con l’ambasciatore Enrico de Agostini  che conosceva personalmente la famiglia.

Claudio Chiarelli, nato in Libia e dopo il matrimonio con Giuliana Sartori trasferitosi a Padova, si trovava in Zimbabwe dal 1994 e nel Paese africano trascorreva lunghi periodi dell’anno accompagnando i turisti in tour di caccia in aree consentite dal locale governo. Chiamato con il figlio dai ranger per un’operazione anti bracconaggio nel parco di Mana Pools, i due sarebbero però stati scambiati a loro volta per bracconieri e uccisi dalle guardie africane. Chiarelli aveva già rischiato la vita due volte: nel 2000 aggredito dagli «squatters», i veterani di guerra protetti dal governo del presidente Robert Mugabe, e nel 2005  nel corso di una battuta di caccia. 

Il regista e fotografo trevigiano Carlo Bragagnolo ricorda Claudio Chiarelli come un cacciatore professionista con regole ferree e un’etica rigorosa contro la caccia senza scrupoli. Aspetto che, secondo il documentarista, potrebbe averlo fatto diventare «una persona scomoda». Bragagnolo assieme a Chiarelli ha realizzato quattro documentari dedicati alla caccia dei grandi animali e con lui si era incontrato l’ultima volta alcuni anni fa quando il padovano era tornato in Italia per un breve periodo. «Era un cacciatore professionista ma cacciava solo ed esclusivamente capi destinati all’abbattimento – ha raccontato Bragagnolo – e non faceva sparare se non era sicuro che l’animale venisse abbattuto con un solo colpo. Aveva insomma delle regole ferree e una etica rigorosa, non era uno di quelli che speculava sulla caccia. Ai suoi dipendenti aveva anche dato abitazione, cure mediche, scuola garantita ai figli. L’Africa era casa sua e la rispettava in ogni modo». In virtù della sua lotta contro i cacciatori senza scrupoli potrebbe essere diventato, ha aggiunto Bragagnolo, «una persona scomoda». Massimiliano è invece descritto come «un ragazzo timido, introverso, tranquillo, che aveva fatto la scuola per diventare cacciatore professionista ma aveva ancora le idee confuse sul futuro».